Vino e 2017, cambiamenti e lavoro in un (molto) prossimo futuro

 

Attilio Scienza, ordinario di Viticoltura all’Università di Milano, è uno dei massimi esperti in materia. In una intervista di fine anno, Wine News ha chiesto al professore di disegnare degli scenari su cui inevitabilmente il mondo del vino italiano dovrà confrontarsi. La risposta non si è fatta attendere, ecco i temi e le preoccupazioni principali:

  • concentrazioni aziendali;
  • polarizzazione della viticoltura;
  • invecchiamento dei vigneti;
  • cambiamenti climatici;
  • cambiamenti dei gusti dei consumatori finali.

Prima di tutto – nota Scienza – dovremmo certamente confrontarci con il fenomeno della concentrazione delle aziende vinicole. Un fenomeno molto evidente a livello internazionale, basti pensare a quello che stanno mettendo in atto le grandi multinazionali dell’alcol e della birra, ma che sta inevitabilmente interessando anche l’Italia. Questa tendenza ha un lato positivo, e cioè la possibile uscita dell’Italia del vino dal suo storico nanismo aziendale, ma porta con sé anche delle criticità: le aziende italiane che subiscono un assorbimento in gruppi internazionali più grandi – ha puntualizzato il professore – sono spesso detentrici di una storia e di un’identità molto forte e, in questo senso, la loro inclusione in realtà più grandi non è sempre un bene”.

Al di là però dei motivi economici più incalzanti, dalla ricerca delle cantine di compratori a causa dei costi di produzione particolarmente alti, passando dai debiti incessanti nei confronti delle banche fino ad arrivare ai flussi di cassa molto complessi, Scienza individua anche un “peccato originale” del sistema enoico del Bel Paese. “Il nostro modello futuro di assetto aziendale e produttivo guarda troppo al Nuovo Mondo e alle sue dinamiche, per certi versi dalla distanza incolmabile con le nostre. Si perdono di vista le nostre peculiarità, le nostre particolarità e l’essenza originale del nostro patrimonio viticolo, facendo certamente pianificazioni a breve e corto respiro incapaci però di costruire una solidità di medio e lungo periodo”.

In questo senso, anche dal punto di vista più vicino a Scienza e cioè a quello della viticoltura, sta accadendo e accadrà sempre più marcatamente un processo di polarizzazione della nostra viticoltura. In Itilia da noi accadrà quello che già è successo in Francia, dove Bordeaux, Champagne e Borgogna, rappresentano l’intero patrimonio viticolo transalpino. “In Italia per molte ragioni, si riconosce – prosegue Scienza – il primato di Toscana, Piemonte e Veneto, a discapito, per esempio, della ricchezza viticolturale del Sud Italia che, peraltro, non riesce a stare al passo”. Ma il fenomeno è forse più eclatante se guardiamo alla dimensione aziendale: “anche in Italia ormai un marchio importante fa una viticoltura importante – nota il professore dell’Università di Milano – ma questo non può andare bene nella realtà variegata dello Stivale”.

Sul tappeto anche il problema, peraltro comune a tutto il mondo enologico, dell’invecchiamento non tanto degli uomini, quanto dei vigneti, che ha un costo di risoluzione altissimo. “Al di là della sua ineluttabilità – spiega Scienza – bisognerebbe cercare di arginare questo processo inevitabile come, per esempio, sta accadendo in Francia, con una seria riflessione che possa garantire una sua soluzione come è sempre accaduto nel passato. Da noi, però, non sembra esserci una sensibilità tale che possa organizzare un programma adeguato”.

Altro tema caldo, è proprio il caso di dirlo è quello del cambiamento climatico che, tuttavia, “non è una criticità che non è mai successa prima, basta pensare alla storia non poi molto remota della viticoltura, come successo in Francia durante la cosiddetta piccola glaciazione. Cambiata è se mai – prosegue Scienza – la velocità della sua manifestazione, che d’altra parte può essere benissimo affrontata con i mezzi scientifici e tecnologici oggi a disposizione. Sarà l’uomo, insomma, che costruirà gli aggiustamenti adeguati sia nel vigneto che in cantina e già lo sta facendo”.

Si tratta quindi di una risposta tutta culturale, secondo il professore di Milano, che dovrà fare i conti anche con un altro cambiamento in corso e sempre più evidente: quello dei gusti dei consumatori. “Un processo che ormai è ben delineato – conclude Scienza – e che le aziende dovranno prendere sempre più sul serio, peraltro, come il cambiamento climatico, non senza una esperienza pregressa già codificata”.

 

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