Il flusso di capitali che dalla Cina prende la strada dell’Europa e degli Stati Uniti rischia di essere fermato. E il vino – con tutta la cornice – fa parte di un “paniere di un acquisti” che i cinesi indubbiamente apprezzano. Tanto è vero – la notizia è del 23 gennaio scorso – che con il recente acquisto da parte del conglomerato alimentare Golden Field di Château Bel-Air (da non confondere con Château Bel Air-Monange di Est. Moueix), sono diventate circa 160 le aziende bordolesi la cui proprietà è cinese: un numero che, sebbene definito “nella norma, se non leggermente basso” da Jane Anson sulle colonne di Decanter, non può non impressionare, se si pensa alla velocità con la quale queste compravendite si sono succedute negli ultimi anni.
Però, come riportato dalla stessa Anson sulla sua rubrica, le cose potrebbero presto cambiare, dato che l’agenzia statale cinese che si occupa, tra le altre cose, dei flussi monetari da e verso il paese, ha recentemente dichiarato che presto per i cittadini cinesi sarà molto più difficile convertire i loro yuan in valuta estera. Dovranno infatti dichiarare in forma scritta che tali capitali non verranno usati per l’acquisto di proprietà immobiliari all’estero, e dovranno descrivere nel dettaglio come e quando tali fondi verranno usati, pena il divieto di convertire valuta tout court per almeno tre anni.
Nonostante il fatto che la dichiarazione dell’agenzia sia rivolta, come nota Anson, al contrasto dei fenomeni del riciclaggio di denaro tramite acquisti immobiliari all’estero, oltre al consistente deflusso di capitali che ogni anno varcano la Grande Muraglia (più di 672 miliardi di dollari nel solo 2016, e 1.100 dall’agosto 2015 al novembre 2016), le ricadute sul settore vinicolo potrebbero essere rilevanti. Non solo i cittadini cinesi sono divenuti i primi acquirenti di case degli Stati Uniti nel 2015, con una spesa totale di 28,5 miliardi di dollari, ma la sequela di acquisti di aziende vitivinicole nel mondo da parte di cittadini e aziende cinesi non ha conosciuto sosta negli ultimi anni – e non solo nelle aree blasonate d’oltralpe. Secondo osservatori indipendenti citati da Anson, circa la metà dei passaggi di proprietà di aziende vinicole in Australia e più della metà di quelli avvenuti nella Napa californiana hanno coinvolto acquirenti cinesi. E anche in Italia non sono mancati acquisti: dal settembre 2014 Casanova la Ripintura, nel Chianti, batte bandiera cinese, divenendo il primo membro cinese del Consorzio del Chianti Classico, e pochi mesi prima anche Poggio Romita aveva seguito lo stesso percorso. Senza contare, come ulteriore e recente esempio del crescente flusso di capitali asiatici nel macrocosmo del vino globale, l’acquisizione della sarda Sella & Mosca e della sangimignanese Teruzzi & Puthod del gruppo Terra Moretti da Campari, con una joint venture al 30% con Nuo Capital Sa, uno dei veicoli di investimento della famiglia Cheng Pao di Hong Kong.
Per ora, comunque sia, c’è poco su cui riflettere: l’annuncio dell’amministrazione cinese non ha portato con se vere e proprie iniziative legislative. Al momento sembra una poco velata dichiarazione d’intenti, con (eventuali) effetti imprevedibili. Secondo Michael Bayne di Christie’s International, “al momento si può solo ipotizzare cosa succederà, anche se prevediamo che le proprietà residenziali subiranno un impatto maggiore di quelle vinicole. Se ci saranno problemi, si presenteranno dal 2018”. Ma il parere di Bayne non è assolutamente condiviso da altri operatori di Bordeaux, citati in forma anonima, da Anson: per questi ultimi più acquirenti cinesi stanno già avvertendo una sorta di “giro di vite” relativo al trasferimento di capitali oltre i confini del loro paese; la medesima situazione si starebbe replicando anche per i fondi che transitano via Hong Kong, uno dei tradizionali punti di snodo tramite i quali imprenditori e società del “Regno di Mezzo” hanno fatto finora uscire i loro capitali dalla Cina.
Fonti
Winenews
The Drink Business