Prosegue la gara mondiale sulla storia e sulle origini cronologiche del vino. Quando ha iniziato l’uomo a produrlo? Qual è quello più antico di cui si abbiamo traccia? Dov’è nato e quale popolo lo ha inventato? Aveva il gusto di un vino contemporaneo?
Sono quesiti che appassionano sia gli archeologi molecolari che il grande pubblico. Qualche mese fa avevamo dato la notizia delle anfore di vino trovate presso il Monte Kronio, presso Sciacca, un vino di oltre 6.000 anni. Ma adesso ci sono delle novità importanti. Le riporta il New York Times che cita una pubblicazione della statunitense National Academy of Sciences. Ebbene, pare che il vino più antico del mondo provenga dalla Georgia, dai siti neolitici di Shulaveris Gora e Gadachrili Gora, e che la sua età oscilli intorno agli 8.000 anni. In altre parole, le lancette vanno indietro di altri 1.000 anni circa.
Il report sulla ricerca archeologica biomolecolare (liberamente scaricabile qui e dal sito dell’accademia), si chiama “Early Neolithic wine of Georgia in the South Caucasus”, ed è stato svolto da un gruppo di ricercatori, tra cui 5 italiani. Sono Patrick McGoverna, Mindia Jalabadzeb, Stephen Batiuk, Michael P. Callahan, Karen E. Smith, Gretchen R. Hall, Eliso Kvavadze, David Maghradze, Nana Rusishvili, Laurent Bouby, Osvaldo Failla, Gabriele Cola, Luigi Mariani, Elisabetta Boaretto, Roberto Bacilieri, Patrice This, Nathan Wales e David Lordkipanidze.
Un articolo in lingua italiana è stato pubblicato sul magazine online di Gambero Rosso a firma di Gianluca Atzeni, lo riportiamo qui sotto.
Il vino più antico del mondo ha 8000 anni
di Gianluca Atzeni
Il vino più antico del mondo ha circa ottomila anni, proviene dalla Georgia ed è stato scoperto grazie al lavoro di un team internazionale di cui fanno parte anche cinque italiani. La notizia è particolarmente importante nell’ambiente scientifico legato alla vitivinicoltura. E le prove sembrano essere quantomai certe, visto che i composti chimici che provano l’esistenza del vino ci sono tutti: gli acidi malico, citrico, succinico e tartarico. Questa evidenza, rilevata con moderne tecniche di analisi, ha portato il gruppo di ricercatori, guidati da David Lordkipanidze (Museo Nazionale Georgiano), ad affermare di essere di fronte al più antico esempio della produzione di vino al mondo. Le tracce di questa bevanda “millenaria” sono state evidenziate nei frammenti di otto giare in terracotta risalenti al 6.000 a.C., nel periodo Neolitico, in due siti archeologici (Shulaveri Gora e Gadachrili Gora) nei pressi di Tiblisi, capitale della Georgia, nel Caucaso meridionale.
I precedenti
Lo studio, pubblicato su Pnas (rivista dell’Accademia delle scienze degli Stati Uniti), dice che le tracce evidenziate hanno 8 mila anni, tra cinquecento e mille anni in più di quanto si pensasse finora, dal momento che le più vecchie testimonianze erano quelle rinvenute nelle giare di Hajji Firuz Tepe, nei monti Zagros dell’Iran (a 500 km dai siti di Shulaveri e Gadachrili), che furono fatte risalire al 5.400-5.000 avanti Cristo, in un lavoro eseguito da Patrick McGovern del Penn Museum di Filadelfia e pubblicato su Nature nel 1996. L’esito del più recente studio emerge dall’applicazione simultanea dei metodi più avanzati in ambito archeologico, archeobotanico, climatico e chimico. I diciotto ricercatori, tra cui anche cinque italiani provenienti dall’Università di Milano e dal Museo lombardo di storia dell’agricoltura (Osvaldo Failla, Gabriele Cola, Luigi Mariani, Elisabetta Boaretto, Roberto Bacilieri) si sono basati sulle tecniche più moderne, come la gas-cromatografia di massa e la spettrometria a infrarossi. Analizzando i frammenti di terracotta, nella sede dell’Università della Pennsylvania, hanno di fatto identificato le impronte del vino, ovvero i quattro acidi, dando ancora una volta prova di come la coltura della vite fosse fortemente radicata in queste aree fin dai tempi più antichi.
Il Caucaso è la culla della viticoltura
Ancora una volta, la scienza conferma come il Caucaso sia stata la culla della viticoltura mondiale, in particolar modo nell’area tra mar Caspio e Mar Nero, caratterizzata da fertili colline a circa mille metri di altitudine, oggi caratterizzate da climi tendenzialmente aridi con piovosità annua tra 350 e 550 millimetri e temperature medie di 13 gradi, ma in antichità interessate da climi più miti, con la vite eurasiatica che si era ben adattata. Dagli studi sono emerse conferme non solo sulla diffusione della viticoltura ma anche sull’uso del vino tra le popolazioni di questa area a nord dell’antica Mesopotamia, appartenenti alla cosiddetta cultura di “Shulaveri-Shomutepe”. Di questi eventi ancestrali di vinificazione, fanno sapere i ricercatori dell’Università di Milano, restano tracce nel mito di Dioniso e nel racconto biblico di Noé che produce il primo vino dopo la fine del diluvio. Il monte Ararat, in cui secondo la tradizione si sarebbe arenata l’Arca, dista poco più di 200 km dall’area di scavo. Difficile, tra le due località di Hajji Firuz Tepe e di Shulaveri e Gadachrili, determinare quale abbia la priorità in relazione alla produzione vinicola e alla cosiddetta domesticazione della vite selvatica, nonché alla sua diffusione. Per gli studiosi, stabilire ciò richiederebbe ulteriori ricerche sul dna delle viti selvatiche. Sta di fatto che, proprio come la cultura vinicola della Georgia contemporanea, il vino probabilmente serviva anche come medicinale, era una sostanza che alterava la mente e una merce molto apprezzata. Per tale motivo, divenne fulcro di culti religiosi, elemento dell’alimentazione, delle economie e della società in generale.
Il gruppo di ricerca italiano non si ferma e sta lavorando a un nuovo studio. Dopo aver contribuito a contestualizzare a livello climatico e biologico la presenza della vite nell’areale archeologico indagato in Georgia, ora studia gli effetti che la variabilità del clima ha avuto nelle fasi successive all’evento di prima vinificazione e fino ai giorni nostri. C’è molto da scoprire ancora sulla storia del vino. Infatti, molte altre regioni del Vicino Oriente, in particolare l’ampio arco montuoso al confine nord della Mezzaluna Fertile, restano da investigare e tutte da studiare da un punto di vista scientifico.