La notizia ha del sensazionale e non è solo un fatto squisitamente economico, di mercato, ma include il recupero di uno spicchio dimenticato dell’Etna, una storia del vino siciliana a un passo dall’oblio.
Da qualche giorno, i vini dell’azienda Castello di Solicchiata si trovano nei listini dell’azienda Planeta che, oltre farsi carico della distribuzione, interverrà nella fase produttiva fornendo la propria expertise in viticoltura ed enologia. Una gran bella notizia.
Un passo indietro:
Il Castello della Solicchiata, oggi di proprietà di Arnaldo Spitaleri di Muglia, sorge sull’Etna, sul versante ovest, poco fuori dall’abitato della città di Adrano. Datato 1875, è un edificio adibito ad uso rurale, alla francese, uno Château. La funzione principale era quello di vinificazione e stoccaggio, vi si produceva il famoso “Vino della Solicchiata“.
Nella tenuta si vinificava da molto prima, con marchio Solicchiata dal 1852, già nell’Italia preunitaria. Tanto per capire il contesto storico, nel 1848 Rosolino Pilo e Francesco La Masa insorgevano a Palermo contro i Borbone, Carlo Alberto e Radetzky se le davano di santa ragione nella prima guerra di indipendenza, mentre Camillo Benso, conte di Cavour, di Cellarengo e di Isolabella, figlio cadetto e senza futuro del marchese Michele, si arricchiva producendo riso nel vercellese.
Così, nell’Italia unificata di Francesco Crispi e Agostino Depretis, sorse il castello degli Spitaleri. Curiosa l’architettura dell’edificio, in stile medievale, particolari anche i materiali di costruzione prevalentemente in pietra lavica. Il maniero è persino circondato da fossato e accessibile da un poetico ponte levatoio.
Solicchiata oggi
La tenuta, interdetta ai visitatori in rispetto alla straordinarietà dei luoghi e della riservatezza della famiglia Spitaleri di Muglia, è parte di 60 ettari vitati su una superficie agraria complessiva di oltre 300 ettari. Oltre 100 chilometri di muretti in pietra lavica scolpita, altezze che vanno da 700 a 1.000 metri; 550.000 le viti ad alberello. Solicchiata è probabilmente il più grande vigneto al mondo ad alberello terrazzato, impiantato per il 70% a Cabernet Franc, 10% Merlot, 10% Cabernet Sauvignon, il restante a varietà bordolesi minori. Parte dello straordinario patrimonio del castello è il Feudo Boschetto, 35 ettari tra 1.000 e 1.200 metri di altitudine coltivati interamente a Pinot Nero. Alcune piante che risalgono all’originario progetto.
Il catalogo è composto da sei etichette – tre a base Cabernet Franc e tre Pinot neri in purezza. Solo varietà francesi, così come era la volontà del fondatore già da metà Ottocento.
È dunque evidente che il cuore della notizia risiede prima di tutto nel recupero di un importante tassello mancante della enologia etnea. Il perché è presto detto: in molti si saranno chiesti della curiosa forma a “C” capovolta della Doc Etna, la cui gobba è rivolta a est. In questa mezzaluna è concentrata tutta la produzione vinicola etnea attuale. Nessuna notizia, invece, per la parte opposta, proprio quella dei Spitaleri di Muglia, quella che va da Bronte a Biancavilla passando da Adrano. Come se quella parte del vulcano non fosse vocata o non adatta alla coltivazione della vite.
Il pezzo mancante
Oggi (come ieri) sappiamo che non è così. Basterebbe un briciolo di logica o di buon senso per comprendere che la coltivazione della vite – millenaria in Sicilia e motivo di sostentamento anche dei ceti più poveri – ruota a 360° attorno al vulcano. Non potrebbe essere diversamente. Ed ecco emergere dalle nebbie di fine XIX secolo un castello che altro non è che il trionfo di un segmento millenario di coltivazione della vite; con esso, tutto il versante “sfortunato”, quello ovest, che dell’immenso successo del vino dell’ultimo trentennio non ha beneficiato per nulla.
Cosa sia successo in quelle contrade, o meglio, quali siano stati i ragionamenti alla base della esclusione è di difficile ricostruzione. Di fatto, a guardare il castello e i terrazzamenti sottostanti, si resta sbigottiti e appare una spiacevole leggerezza. Opportuno valutarne il recupero.
Non tutti, però, avevano ignorato questi suoli. Anzi. Basterebbe ricordare Luigi Veronelli e Giacomo Tachis che, negli anni ’90, avevano già messo in luce e condiviso, anche grazie al miglior ramo della ricerca, più di una impressione sui vitigni della costa ovest.
La storia di Solicchiata
Castello Solicchiata è un progetto unico nel suo genere, ideato a metà dell’Ottocento dagli Spitaleri di Muglia, famiglia di nobile e antichissimo lignaggio: il nome deriva infatti da “Ospidalieri”, cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme e poi di Malta, baroni crociati arrivati sull’Etna per commercializzare vino alla fine del XIII secolo, sulla via del ritorno dal viaggio a Gerusalemme. Illuminati agricoltori, vantano il primato di aver portato per primi la coltivazione della vite sull’Etna, e di aver perpetrato l’attività agricola seguendo l’avvicendarsi di diverse dominazioni e culture (dal fiorente commercio altomedioevale alla sospensione della dominazione moresca, fino alla ripresa del XVI secolo).
Nel 1855, Felice Spitaleri, Marchese di Sant’Elia e Barone di Solicchiata – il più giovane senatore del Regno d’Italia fautore del Risorgimento vitivinicolo italiano – concepisce una visione tanto ardita quanto fascinosa: costruire sull’Etna uno Château alla francese, con centinaia di terrazzamenti scavati nella roccia lavica e un modello di produzione all’avanguardia. La sperimentazione delle varietà autoctone è affidata al più famoso geo-botanico e ampelografo dell’epoca: Padre Francesco Tornabene, afferente alla famosa scuola catanese e fondatore dell’orto botanico di Catania; la progettazione architettonica viene guidata da Andrea Scala, che si ispira ai palchi dei teatri all’italiana per disegnare gli oltre 300 ettari di terrazzamenti vitati.
Solicchiata diventa così il luogo eletto dove coltivare famose varietà alloctone e produrre grandi bottiglie, eleganti e uniche, in grado di dialogare con il mondo del vino internazionale guadagnando i palcoscenici dei maggiori concorsi enologici dell’epoca. Il vino di Solicchiata, infatti, vince il primo premio all’Esposizione di Londra nel 1888, il Grande Diploma d’Onore e Medaglia d’Oro a Palermo nel 1889, Vienna 1890, Berlino 1892, Bruxelles 1893, Milano 1894 e fu la prima fornitura ufficiale della Real Casa d’Italia, rimanendo il vino italiano più premiato ai concorsi internazionali e universali del XIX secolo.
FP
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Feudi Barone Spitaleri: http://feudispitaleri.com