Prima di parlare del vino Hugonis di Tenuta Rapitalà è utile parlare di Francia, di Bordeaux e di Cabernet Sauvignon.
La Classification des Grands Crus Classés del 1855, valida per Médoc e Sauternes, è rimasta tale e quale da quando fu pubblicata, con una sola e famosa eccezione: Mouton-Rotschild. La cronaca riporta che il famoso Château fu promosso da primo dei “second cru” a “premier cru” nel 1973. Non per una questione banale o burocratica, ma per il frutto di 50 anni di incessante impegno del barone Georges Philippe de Rothschild.
In dettaglio, Mouton Rotschild – parola del tardo latino “multo-onis”, montone, ariete – fu fondata nel XVIII secolo dal barone de Brane, che la comprò dai Ségur. La tenuta aveva fatto parte di “Lafite”, ne costituiva una porzione, e fu divisa proprio in quella circostanza. Ma Brane-Mouton, questo il suo primo nome, era già considerata una singolarità ed era stata tra le prime ad utilizzare il cabernet sauvignon nel Médoc. Brane la vendette nel 1830 a un certo Turet, che – per la mala gestione e altri guai d’oltreoceano – fu costretto a sua volta ad alienarla nel 1853. La acquistò per poco il barone Nathaniel Mayer de Rothschild, banchiere inglese di danarosa famiglia e membro della camera dei Lord.
Quando fu compilata la classificazione commissionata da Napoleone III, i dati raccolti non erano in effetti molto rassicuranti, sia per le precedenti gestioni, sia per la piaga che imperversava da un paio di anni nel Mèdoc, l’oidio. Così, la tenuta venne declassata al secondo rango. Il barone Philippe, nipotino di Natty, la ereditò nel 1922 e la conosceva già benissimo. All’età di 12 anni vi era stato mandato per motivi di “sicurezza” a causa della prima guerra mondiale, ne possedeva tutti i segreti e l’amava profondamente. Poco più che ventenne, nonostante la passione per le gare automobilistiche, le Bugatti e le donne, si impegnò intensamente per dar valore alla sua tenuta come mai avevano fatto suo padre e suo nonno. Ci vollero più di 40 anni di produzione impeccabile e incessante promozione per ottenere ciò che voleva. La qualità del vino era straordinaria, ma alcuni “ostacoli” erano di difficile soluzione: innanzitutto la rigidità della stessa classificazione, poi, l’aperta rivalità con i cugini – che dopo alcuni anni avevano comprato Lafite a un prezzo notevolmente più alto – e forse anche le origini anglo-ebraiche del proprietario.
Philippe prese delle decisioni concrete: ristrutturò la casa di campagna in una dimora confortevole, imbottigliò interamente la produzione allo Château – una scelta poi apprezzata dagli altri produttori di Premier Cru (prima si vendeva sfuso a barile e imbottigliavano i negociant) – e istituì con altri produttori un cartello con il quale si fissavano i prezzi del vino. Sua l’idea di non immettere sul mercato vendemmie non del tutto soddisfacenti, ad esempio, nel 1932 declassò la sua produzione creando un “secondo vino”, il Mouton Cadet, di fatto un buon Bordeaux a costo ridotto. Oggi il vino Cadetto è tra i rossi più venduti al mondo con 13 milioni di bottiglie vendute ogni anno.
Tra le sue idee più brillanti, quella di far firmare le sue etichette – ogni anno diverse – da grandi pittori e scultori. Una pratica ancora in uso dal 1945. Tra questi, Jean Cocteau (1947), Salvador Dalí (1958), Joan Miró (1969), Marc Chagall (1970), Wassily Kandinsky (1971), Pablo Picasso (1973), Andy Warhol (1975), Keith Haring (1988), Jeff Koons (2010) e Xu Bing (2018). Nel 1973, nonostante le vicissitudini della seconda guerra mondiale e i danni subiti dai tedeschi, Château Mouton Rothschild venne finalmente classificata tra i Premier Cru. Tra tutti gli Château era (ed è) quello che utilizza maggiormente Cabernet Sauvignon, con una quota di oltre l’80% nel taglio. Riferimenti internet: www.chateau-mouton-rothschild.com
Nota: il vitigno cabernet sauvignon è un ibrido spontaneo tra cabernet franc e sauvignon blanc avvenuto – si ritiene – nel XVII secolo nelle aree del Médoc e delle Graves. I primi grandi vigneti sono nati proprio sulla riva sinistra della Gironda e della Garonna. I suoli sono composti prevalentemente da ciottoli ghiaiosi e sabbia, composizione ideale per lo sviluppo della vite.
Il Cabernet Sauvignon / Nero d’Avola di Tenuta Rapitalà
Le vicende transalpine di uno tra i vini più interessanti al mondo ci conduce al Hugonis di Tenuta Rapitalà, un “Doc Sicilia” rosso dalla struttura vigorosa frutto di un blend di Cabernet Sauvignon e Nero d’Avola. Il nome è un omaggio a Hugues Bernard conte de La Gatinais che, insieme a sua moglie Gigi Guarrasi, ha condotto Rapitalà dagli anni ’70 sino al 2006, attività poi proseguita dalla generazione successiva con il figlio Laurent.
Una curiosità anche sul nome Rapitalà: proveniene dall’arabo Rabat-Allah, “Giardino di Allah”, indizio di un legame millenario che i contadini hanno con questi luoghi. La tenuta, estesa circa 260 ettari su 180 vitati, è un corpo unico che si estende dalle alte colline di Camporeale (da 300 a 600 mt. s.l.m.) sino al comune di Alcamo. Diversi i microclimi caratterizzati anche dal suolo, giacitura e altitudine. La conduzione agricola è in regime biologico, cui si sovrappone in senso ancor più restrittivo il protocollo SOStain per la sostenibilità ambientale.
Hugonis unisce due mondi vicini ma profondamente diversi, quello del siciliano nero d’Avola e dell’uva rossa più conosciuta al mondo, il cabernet sauvignon. Le uve provengono dalle colline argillose di Camporeale. Sono vendemmiate a metà settembre, separatamente, a maturazione ottimale. La fermentazione alcolica avviene in piccoli tini di acciaio. Lunghe le macerazioni sulle bucce, per il cabernet anche tre settimane. Dopo la vinificazione il Cabernet passa in barrique di rovere francese dove rimane ad affinare per 18 mesi, mentre il Nero d’Avola è elevato in botti di grandi dimensioni. Terminato il periodo di maturazione in legno si esegue il blend e il vino resta per altri 3 mesi in botte grande prima di essere definitivamente imbottigliato. L’ultimo step di affinamento in vetro dura sei mesi.
L’annata 2020 è di colore rosso intenso, lucente, anticipando l’intensità di copiosi estratti. Al naso mette in evidenza la complessità del carattere, giocato tra note mature di frutti rossi maturi come prugna, more e cassis, e una speziatura resa ancor più elegante da cioccolato, vaniglia e tabacco chiaro. Al palato svela la struttura potente del Cabernet Sauvignon e il nerbo acido del Nero d’Avola, con tannini rotondi e ben fusi che sostengono un corpo atletico. Lungo il finale con continui sentori di confettura nera e di cuoio che, incessantemente, concorrono ad una sensazione carezzevole. Senza necessariamente recarsi a Pauillac.
Tenuta Rapitalà
Contrada Rapitala’ 90043 – Camporeale (PA)
www.gruppoitalianovini.it/index.cfm/it/brand/tenuta-rapitala
FP