La notizia era sembrata già singolare appena appresa, a cavallo tra il 2015 e il 2016, un cambio sostanziale al Cappero. Il resort cinque stelle dell’isola di Vulcano alle Eolie, il Therasia Resort, acquisiva il cartellino di un giovane chef palermitano di cui avevo pochissime tracce. L’ho incontrato nel febbraio del 2016 e lì ho capito molte cose. Giuseppe Biuso, Palermo – 1988, davanti a un bicchiere di buon Chianti e due arancinette, non si espone più di tanto. Ha però un sorriso contagioso e, tra i suoi silenzi e le piccole incertezze, lascia trasparire una consapevolezza e un’energia così densa da poterla toccare con mano. Mi aspetta da oltre un’ora, senza batter ciglio; sono – come sempre – in ritardo stratosferico. Dopo aver farfugliato delle scuse, chiedo con impazienza cosa c’è in programma al Therasia. So che la domanda non è facile, ma il punto è cruciale. Il ristorante è in vista, ha ottenuto nella sua breve storia rilevanti traguardi e come se non bastasse c’è un’importante Stella Michelin. Chiunque approccerebbe alla sfida con un po’ di batticuore. No, lui no, e se ce l’ha non lo da a vedere. I suoi ventotto anni raccontano bei luoghi di lavoro: l’ultimo in riviera romagnola, ma c’è il Met del Metropole di Venezia, il Grand Hotel di Rimini, o ancora il Golf Hotel Punta Ala in Maremma. Poi il Mosaico di Ischia, quando c’era Nino Di Costanzo, La Siriola di Casa Cialares a San Cassiano, Villa Crespi e il Boscareto con lo “chef incubo” Cannavacciuolo. Il DNA, ricco per nascita, è cresciuto nei posti giusti. Mi dice che il programma punta su Palermo: caponata, lumache, anelletti… Sorrido. Il picciotto o è tosto o è fuori come un balcone.
Qualche mese dopo, in piena stagione, sono al tavolo del Cappero del Therasia, quello di fronte la cucina. Gli spazi sono ampi, comodi, la mise en place elegante, chiara, luce morbida e atmosfera lussuosa. La prima fila di tavoli beneficia di una brezza tesa e sembra proprio che faccia un salto nel mare. Dietro, due tavoli sono a una manciata di centimetri dai fornelli, la cucina è aperta e con ampie vetrate.
Ora, c’è una cosa che mi ha stordito e che mi assorbirà per tutto il resto della cena: il silenzio. Lo schiocco di un tappo rimosso da Andrea Prizzi, il sommelier, il bisbiglio discreto del creativo maître di sala Salvio Di Scala, l’infrangersi dei flutti sugli scogli, tutto questo supera le onde sonore prodotte dalla cucina. Sono rimasto ipnotizzato, in piedi, per venti minuti prima di sedermi. Era la stessa calma e la stessa energia che si toccava con mano durante l’incontro di Palermo. Ogni tanto un flebile colpo di campanellino, “tin!”, o il tempo chiamato in minuti e secondi per completare il piatto. Rispettati sempre con millimetrica precisione. Cenare da solo è stato favoloso. Uno sguardo allo chef, l’altro al mare, mentre l’azzurro passava pigramente al nero, tra toni viola, grigio e granato di un tramonto eoliano immenso.
Nei piatti la Sicilia, con il cuore a Palermo. Tra gli antipasti – ma sempre dopo lo “stuzzico dello chef” – una fantasmagorica “Sarda a beccafico”; “un’altra caponata di melanzana” è una tutt’altra monolitica faccenda rispetto l’originale; i sapori tra costa e suolo si trovano nei “babbaluci”, lumachine di terra e di mare alla palermitana con prezzemolo e le sue radici all’aglio, olio e peperoncino, un piatto di circolare bellezza. Notare le foto. Tra i primi, gli “spaghettoni alla trapanese” di grano duro mantecato al basilico con mandorla di Avola, mandorla di mare e zuppetta di datterino crudo, un piatto di grande soddisfazione. Il piatto strappalacrime è “la vongola casca proprio a fagiolo”, degli anelletti (quelli della timballo palermitano) risottati con vongole, fagiolo Badda di Polizzi e rosmarino. Un monumento di Cannavacciuolana memoria. E poi i “broccoli arriminati”, un piatto contemporaneo che profuma di storia, dei maccheroni di grano duro con cavolfiore, acciuga del cantabrico, uva sultanina e pinoli. Tra i secondi “capretto aggrassato”, un fascinoso parallelepipedo di stracotto di capretto con patata novella, riduzione al Marsala, cipolla di Giarratana e pistacchi di Bronte; e il “Maialino nero dei Nebrodi” con ostrica perla nera, carciofo spinoso di Menfi, e sambuca. Per chiudere, “Cocco Bello!“, chi è stato nella spiaggia di Mondello a Palermo sa di cosa sto parlando, o un “ricordo di cannolo siciliano”.
Sono tutti piatti penetranti, di notevole tecnica, leggeri ma intensi nei sapori e… intimamente siciliani, per non dire palermitani. Quella sicilianità che alcuni avevano reclamato adesso è di casa a Vulcano, raccontata, anzi, bisbigliata da un rosanero DOC come Giuseppe Biuso. Una cucina piena di sorprese che, me lo si consenta, va oltre una singola stella.
Il lavoro di Salvio Di Scala è psicoanalitico: amabile, rispettoso, attento. In azione al tavolo è a dir poco magistrale. Anche quello di Andrea Prizzi, al secondo anno e altro palermitano, non è semplice ed è fatto con grande professionalità. La selezione delle etichette è dura, la scelta avviene sulla base di passione personale, sul menù e su una clientela esigente tutt’altro che facile. E poi c’è Elena, che con un delizioso e leggiadro tocco femminile dona agli ospiti il calore e il senso della casa.
Concludendo, il Cappero è un ristorante fuori dall’ordinario, di alto livello, un riferimento per la ristorazione regionale. Una meta imperdibile. Ogni segmento è meticolosamente curato e inquadrato in un progetto unico: la cucina, l’ambiente, la cornice, la mise en place, la cantina, il servizio.
Al direttore Umberto Trani, coach, cuore e memoria storica del Therasia, nel difficile ruolo di responsabile di un cinque stelle lusso, ho voluto fare una breve intervista, per offrire una ulteriore chiave di lettura.
Direttore Trani, stagione nuova, chef nuovo. Come è cambiata, se è cambiata, la proposta gastronomica al Therasia?
Il Therasia resort ha un’idea enogastronomica precisa, pensata sin dal 2010. Da allora, anno dopo, anno viene implementata e arricchita. Le persone che interpretano quest’idea possono anche cambiare, ma il progetto rimane intatto nella figura d’insieme.
In effetti ci sono più ristoranti. Quante sono le proposte gastronomiche del Therasia?
I ristoranti sono tre, il Grusoni dove serviamo una cucina mediterranea con primi di pesce e un banco del pesce che viene curato grazie a dei pescatori locali che tutti i giorni ci portano la materia prima direttamente dal mare eoliano. A questo si aggiunge un menù snack con insalate, panini. Un discorso a parte è la pizza, a cui dedichiamo un lavoro meticoloso che parte dalla ricerca delle farine che utilizziamo, al lievito madre, alla stessa lievitazione che è di oltre 16 ore; ed infine del prodotto che la condisce. L’Arcipelago invece è la nostra trattoria tipica con piatti dell’antica tavola siciliana, con i sapori e gli odori che solo in Sicilia si possono trovare. Il Cappero, invece, è una cucina Gourmet che rivisita creativamente le ricette siciliane, utilizzando i prodotti della nostra terra e presentati con un pizzico di fantasia. Quest’anno ci sono dei piatti unici come l’ambiente che circonda il ristorante. Diciamo che la sostanziale differenza è nei piccoli dettagli, fanno intuire questa filosofia. Ad esempio, lo scorso anno al buffet delle colazioni c’era la pastiera e la caprese; adesso Iris e Sfince. Al Cappero si trovavano le carte napoletane e adesso il carrettino siciliano, forse questa è la vera differenza! Siamo tornati in Sicilia grazie a Giuseppe Biuso from Palermo e la sua splendida brigata.
Quali sono gli obiettivi che vi siete posti e che avete chiesto allo chef Giuseppe Biuso?
Sono tanti ed ambiziosi! Alle spalle abbiamo un gruppo solido ed una proprietà che ogni anno investe cifre importanti per migliorare questa struttura che già naturalmente è unica al mondo. Partendo da questo, le scelte dei collaboratori che creano prodotto e servizi è meticolosa e cerchiamo sempre il meglio sul mercato. Il nostro team è fatto da assoluti professionisti, cito ad esempio il nostro maître Salvio di Scala, il nostro sicilianissimo sommelier Andrea Prizzi e così via tutti gli altri ragazzi che giorno dopo giorno ci rendono orgogliosi del lavoro che facciamo. Tornando agli obiettivi, sono semplici: dare eccellenza in tutto quello che facciamo. Noi in hotel produciamo tutto, dai salumi al pane, passando per lo yogurt e finendo con i dolci. Tutto deve essere fatto con il cuore e con passione. Alla fine c’è un solo giudice che ci dice a che punto siamo… il cliente. Verso di lui devono andare tutti i nostri sforzi, perché un 5 stelle deve essere un esperienza fuori dal comune. Ecco l’obiettivo!
Ci parli dello chef Giuseppe Biuso
Conosco Giuseppe da tempo. Avevamo lavorato insieme nel 2008 in una struttura alberghiera a Salice d’Ulzio. Lo ricordavo come un ragazzo serio con un ambizione molto alta. Quest’inverno, quando abbiamo iniziato a cercare lo chef, ho saputo da un amico che Giuseppe cercava una nuova sfida. Dunque sono partito con il maître e siamo andati a Riccione dove lui lavorava. Ci siamo seduti al tavolo di questo ristorante come normali clienti. Dopo due piatti ho detto al maître “questa è la persona che cerchiamo”. Adesso vedo in hotel un ragazzo serio che rispetta tutti, e che è a disposizione di tutti, a prescindere che siano del suo reparto o di un altro. Questo è fondamentale per l’ambiente di lavoro e grazie a questo siamo riusciti a creare un gruppo coeso senza primedonne ma grandi professionisti, ognuno al servizio dell’altro. Non so quali traguardi raggiungeremo, ma sono pronto a scommettere su questo gruppo di lavoro e sono convinto che Giuseppe Biuso farà molto parlare di se.
Un ultima domanda che qualcuno le avrà sicuramente già fatto: come mai le strade con Crescenzo Scotti – adesso al Flauto di Pan di Villa Cimbrone a Ravello – si sono divise dopo i successi raggiunti?
Premetto che il tutto è avvenuto in un clima di profonda stima reciproca. Fondamentalmente avevamo la stessa convinzione e la stessa voglia quella di voler scoprire e provare qualcosa di nuovo. E al momento le scelte fatte hanno soddisfatto entrambi.
Therasia Resort
Vulcano - Isole Eolie
Tel 090.9852555
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