Quanto Josko Gravner abbia scosso l’Italia del vino è difficile a spiegarsi. Diciamo molto, Sicilia compresa. Il segmento dei “vini naturali”, dei vini con pochi o niente solfiti, di quelli non soggetti a trattamenti con prodotti dell’industria chimica, di quelli le cui annate sono indipendenti e mai piccole – da alcuni definiti i vini perfetti nella loro imperfezione – si è mosso negli anni ’90 proprio attorno a lui. All’inizio c’era Angiolino Maule, Radikon e pochi altri. Col tempo diventeranno moltissimi. Un certo mondo del vino, dalla personalità fragile, ne verrà tragicamente ossessionato. Tanto da riproporre gli stessi identici vini in veste riformata: nuove parole, nuovi argomenti, nuova furbizia al fine di cavalcare una nuova presunta moda.
Ma l’idea corre veloce e si evolverà a tal punto da superare negli anni alcuni pilastri che prima erano considerati le stesse fondamenta del movimento, ad esempio la biodinamica, il metodo di coltivazione basato sulla visione spirituale antroposofica del mondo elaborata dal filosofo ed esoterista Rudolf Steiner.
Ma lui lo ha sempre detto, delle certificazioni bioquellochetipare e della conseguente burocrazia prova fastidio. C’è una responsabilità diversa, di tipo personale, non cartacea/documentale. I trattamenti si fanno lo stesso, ovviamente il minimo indispensabile. E si segue la luna. Per tutto garantisce il tuo nome, il tuo volto.
Così, fa piacere incontrare la figlia Mateja Gravner al Country Relais Monaci delle Terre Nere e sentirle raccontare, naso nel bicchiere, di come sua papà abbia raggiunto le sue determinazioni attraverso degli episodi e delle tappe da considerare fondamentali, ad esempio un drammatico viaggio tra produttori di vino negli USA. Di quei momenti “bivio” nei quali è necessario decidere se fare una cosa o un’altra. Nella chiacchiera sembra di percepire che, se i principi sono corretti, il bivio in realtà non è un rischio, ma una diversa chance.
Non stupisce nemmeno che tutto questo accada, appunto, a Zafferana Etnea da Guido Coffa e Ada Calabrese, certe cose non sono (mai) frutto della casualità. Su Monaci delle Terre Nere, la cornice della degustazione e della cena, andrebbero spese alcune parole per segnalare al lettore della particolare bellezza di questa struttura, delle vedute, della ipnotica calma che pervade i luoghi. Un notevole livello di comfort per il fisico e per lo spirito. Molti, senza alcuna esagerazione, la considerano la struttura più bella in Sicilia e una tra le più belle d’Italia.
Il menù della cena, realizzato con una materia prima impeccabile (in parte autoprodotta) dallo chef di casa Vincenzo Gulino, è stato pensato per offrire la giusta sponda ai vini.
Tornando a Josko Gravner e alle sue creature, abbiamo la sensazione di trovarci di fronte ad un carattere emotivo, forse perfezionista; poco rilassato nel suo presente. L’uva eletta è la Ribolla, il suo posto è tra Oslavia, una frazione in provincia di Gorizia e Colmo, o Hum, in Slovenia. Pochi chilometri separati solo da quelle follie metafisiche chiamate “Confini di Stato”.
Le anfore arriveranno dopo il 2000, dopo un viaggio in Georgia. Per lui il risultato sarà straordinario, da subito. Il vino, racconta, lo ha trovato “alla sorgente”, così come fatto da millenni.
Mateja parla con calma e prudenza, riportando nel modo più fedele possibile le scelte del genitore. Il sistema organizzativo familiare l’ha preposta a un ruolo comunicativo, relazionale e di garanzia per chi è fisicamente nella vigna e in cantina. Un diverso tipo di trincea che le regala distacco e senso critico.
Tra le intuizioni che le riconosco, la convinzione che aziende grandi e piccole possano convivere e, anzi, essere complementari tra loro: da una parte realtà forti capaci di aggredire nuovi mercati, dall’altra piccole realtà capaci di incidere sui contenuti e interagire direttamente migliorando il pubblico. Poi, il rispetto verso il consumatore e il suo benessere.
Della Sicilia apprezza l’immagine che è stata capace di costruirsi in pochi anni. Probabilmente sfumata nei tanti dettagli, ma ne riconosce un notevole lavoro promozionale e il grande potenziale. Per l’Etna, si augura che rimanga un territorio accessibile, frazionato, al fine di permettere a più soggetti possibile di interpretarne le infinite caratteristiche.
A cena il tempo vola in uno schiocco di dita. Gli inserti di Gae Saccoccio danno volume al tema della serata, senza sforare in contorti ragionamenti filosofici. Anzi. Senza scomodare Platone e Aristotele, guida l’ospite in eleganti riflessioni legando il desiderio di conoscenza a pratiche legate alla viticoltura, solo in apparenza scontate.
Di seguito un breve accenno ai piatti e ai vini degustati.
Ribolla 2008 Anfora
L’annata ha riscontrato nella vigna una quota consistente di botrite, la vendemmia si è conclusa il 27 ottobre. Le uve sono vinificate, appunto, in anfore di terracotta. Lunga macerazione a contatto con le bucce, circa 9 mesi. Poi affinamento per 60 mesi in botte grande. Al naso è netto con fini sentori di frutta e agrumi. Colpisce per compostezza e rotondità. In bocca è fresco, sapido, carezzevole, sembra quasi di masticare l’uva. I tannini, se avvertiti, sono ben fusi nel vino. Bella maturità, fondamentale l’affinamento.
Antipasto: tortino di verdure selvatiche su crema di patate, cialda di sesamo di Ispica
Breg 2007 Anfora
Uvaggio di chardonnay, sauvignon blanc, riesling italico e pinot grigio. La fermentazione è separata, in anfora georgiana in terracotta; l’affinamento congiunto, in legno grande. I lieviti sono indigeni, nessun controllo di temperatura. Dopo la svinatura e la torchiatura, torna in anfora per altri cinque mesi. Poi, affinamento per sei anni in botte. Si imbottiglia senza chiarifiche né filtrazioni. Il che ci lascia positivamente sorpresi, giacché il vino è brillante, luminoso, assolutamente nitido. Il naso è teso, pungente, definito. Molto pulito. Zero sbavature. Netta la mela cotogna, il bosso, mandrino disidratato, tè verde ed erbe mediterranee. In bocca è sapido, leggermente astringente. Elegante. Molto lungo. Un vino straordinario che ci è piaciuto tantissimo. Prezzo: circa 50 euro.
Primo: tortelli di caprino girgentano e timo ai sentori di stracotto
Breg rosso 2004
Prodotto con uve Pignolo. La fermentazione si è svolta sulle bucce in tini di legno (anche la 2005; l’anfora interrata subentra dal 2006) con lieviti indigeni e senza alcun controllo della temperatura. Segue l’affinamento in botti di rovere per 5 anni ed in bottiglia per almeno altri 5 anni. Imbottigliato con luna calante senza chiarifica né filtrazione. Il vino, nonostante l’età anagrafica, è giovanile e freschissimo. Potrebbero indurre al sospetto i riflessi granato del colore, noi non ce ne siamo nemmeno accorti. Al naso è complesso, autunnale. Evidenti le note di prugna, amarena, ginepro e chiodi di garofano. In bocca è composto, elegante, i tannini sono morbidi e setosi. Buona persistenza. È un vino piacevole dal fascino discreto. Prezzo: circa 90 euro.
Secondo: pancia di vitello con broccoli all’aglio di Nubia e palatino di pomodoro
Ribolla 2007 Anfora
Annata diversa rispetto alla successiva, più asciutta e facile nella gestione. Niente botrite. La vendemmia è terminata martedì 25 settembre. Al naso è molto chiaro, lineare, per certi versi troppo facile. Al naso confettura di pesche, cera d’api, resina e rosmarino. In bocca è rotondo e fresco. Netto. Chiude con grande pulizia. Prezzo: circa 50 euro.
Dessert: dolce non dolce (piccola macedonia di ortaggi e frutta).