Ideatrice di Piccolo è bello, Agata Arancio è anche vicepresidente della Federazione Italiana Sommelier Sicilia. Curiosa e attenta osservatrice della realtà e sensibile conoscitrice del mondo etneo, ha presentato durante l’ultima edizione della ViniMilo “Sulle tracce di Maro Soldati”- Dalle Alpi al vulcano: sette vini di giovani produttori canavesani che stanno lavorando sulla rivalutazione del vitigno Erbaluce di Caluso, a confronto con sei produttori di Milo. In questa intervista, parla del futuro dell’Etna e dei cambiamenti nel mondo del vino.
Perché hai scelto Mario Soldati e il suo libro Vino al Vino, per questo evento?
Tutto è nato in maniera del tutto casuale e grazie a una coincidenza. Ho conosciuto Daniele Lucca che mi ha parlato di questo movimento di giovani vignaioli canavesani, che tra gli obiettivi avevano anche la valutazione del vitigno Erbaluce di Caluso. Mi incuriosì questo fermento e decisi di invitarli. Nel contempo, leggevo il libro Mario Soldati Vino al Vino, dove lui parla di equivalenza e similitudine tra i due territori: il canavese e il territorio di Milo. Da una causalità è nato un percorso basato sull’attinenza territoriale.
Quale aspetto ti ha colpito del libro di Mario Soldati?
L’idea del viaggio e la scoperta del vino umile, non scontato. Ma soprattutto, mi ha colpito l’aspetto umano, la descrizione dei paesaggi, il racconto fisico, sociale che sta attorno al vino, la ricerca, la curiosità. Che poi è l’idea di chi vive professionalmente il vino: avere questa sorto di impulso alla vita spinto dalla curiosità.
Quali sono gli elementi che secondo Mario Soldati hanno in comune i due territorio, Milo e le terre del canavese?
Lui declina l’attinenza e la similitudine attraverso il medesimo percorso storico culturale dei due territori. Ad esempio, secondo Soldati, sono le famiglie borghesi che in entrambi i territori hanno iniziato a tessere il racconto del vino.
Mario Soldati parla di vino prelibato e sincero: Ma oggi quale vino può definirsi tale?
Prelibato è un vino fatto bene. Ma oggi è difficile stabilire quale vino è ben fatto perché c’è una tale moltitudine di linguaggi, di filosofie, di produzione. Il vino sincero è quello che è piena espressione dal territorio da cui proviene. E rispecchia il territorio integralmente.
Alcuni produttori etnei hanno suggerito diverse soluzioni per gestire l’eccessivo numero di piccoli produttori sull’Etna. C’è chi parla di co-working, chi di consorzio di piccoli produttori
Comincio a vedere la difficoltà oggettiva non tanto legata alla produzione quanto all’espetto del marketing. I piccoli produttori dovrebbero consorziarsi per fare marketing e vendere attraverso un consorzio perché altrimenti, chi non ha la forza economica per competere con le grandi aziende, potrebbe non sopravvivere.
L’Etna, oltre ad essere un territorio interessante e unico, un brand, è anche un trend?
Non sono molto ottimista sul futuro dell’Etna. È anche una moda ma il rischio vero è l’autoreferenzialità e la mancanza di confronto. Il mondo sta andando da un’altra parte, senza parlare della crisi dei rossi. Bisogna unirsi nella promozione. Sulla qualità non ci sono margini: il vino di poca qualità avrà poca strada. La media dei produttori etnei è buona ma il prezzo medio è spesso troppo alto.
I vini come intercettano oggi il cambiamento dei consumi dei giovani?
Spesso manca una reale consapevolezza della realtà. Non bisogna avere paura di parlare di vini dealcolati. I mercati sono tanti e tutti devono avere spazio. L’importante è rispettare la qualità. La legge europea sta demonizzando il vino e questo richiede una riflessione più ampia che includa l’ipotesi di produrre meno vino.
Come si inserisce la tua visione nel dibattito vini naturali vs vini industriali?
Vino naturale non è sinonimo di qualità. Sono affascinata dal percorso di un produttore, non amo le etichette e giustifico talvolta alcune imperfezioni. Più che di vino naturale preferisco parlare di vino etico. Creare barriere nella comunicazione del vino non fa bene. Comunicare il territorio secondo le diverse specificità invece è importante.
Che bilancio vuoi condvidere della sesta edizione di Piccolo è bello?
Un ottimo bilancio e una manifestazione che è stata capace di innovarsi negli anni. Come dimostrano le novità di quest’anno: l’apertura a territori di diverse regioni e l’iniziativa Innesti nei ristoranti di Catania che ha portato i vini etnei nella ristorazione della città.
Come può crescere un piccolo produttore senza necessariamente puntare sulla quantità e rimanendo fedele alla sua identità?
Dovrebbe acquisire tutti gli elementi oggettivi del management e iniziare un percorso verso l’imprenditorialità. Bisogna avere una visione d’insieme e confrontarsi con altri territori altrimenti si rischia che ognuno diventi portavoce di sé stesso. I piccoli produttori devono prendere più consapevolezza, per ora hanno esigenza di esprimersi. Riconoscono la loro identità nella produzione del vino. Sono giovani, entusiasti, hanno scommesso molto ma il mercato non li può accogliere tutti se non si presentano con un certo profilo imprenditoriale.
Oggi, tra i tanti modi di comunicare il vino c’ è quello di affiancarlo alla letteratura
Il racconto letterario è interessante, ti permette di cogliere le sfumature di un vino ma non deve essere legato necessariamente alla letteratura in sé ma all’aspetto umano.
LR