AIS Sicilia, i primi venti anni. Intervista al presidente Camillo Privitera

 

Sono venti candeline per l’AIS Sicilia, l’associazione italiana sommelier che nell’Isola è nata quasi in concomitanza con la grande rivoluzione che ha investito il mondo della vitivinicoltura siciliana. AIS Sicilia, sin dagli inizi, ha affrontato nuove sfide, cambiamenti, ha contribuito alla crescita del mondo del vino siciliano, formando figure professionali e cambiando il mondo della comunicazione.
Camillo Privitera, attuale presidente di AIS Sicilia, a giugno concluderà il suo quarto mandato. In questa intervista, condivide il bilancio di questi primi venti anni, i prossimi obiettivi e il futuro del vino siciliano.

Presidente, AIS Sicilia ha da poco festeggiato i primi 20 anni di attività dalla sua costituzione e il suo quarto mandato come presidente. Che bilancio vuole condividere?
Un bilancio positivo e direi anche significativo. Siamo partiti da zero, negli anni della costruzione del mondo del vino siciliano, abbiamo fatto dei passi da gigante in tempi brevi e in settori come la formazione, la comunicazione e diffusione, la ristorazione e gli eventi. Oggi, AIS Sicilia è presente in tutte le province siciliane, addirittura con due delegazioni in alcune province. Dall’anno di partenza, nel 1999-2000, circa diecimila persone hanno partecipato ai nostri corsi, contiamo mille soci che ci seguono costantemente e fedelmente. Abbiamo formato professionisti che hanno trovato sbocchi di lavoro in molte cantine siciliane oltre che nella ristorazione e nel settore dell’accoglienza, abbiamo promosso e comunicato il vino come elemento culturale oltre che come prodotto.  AIS ha innescato la miccia, ha contribuito, insieme ad altri fattori, alla crescita tumultuosa nel mondo del vino. Oggi, AIS Sicilia è un’organizzazione organica con una struttura consolidata, una presenza strutturata nelle varie delegazioni, un pubblico di appassionati e professionisti sempre in crescita.

Quali sono, allora, le nuove scommesse di AIS Sicilia?
Continuiamo nel segno della continuità ma anche della crescita con una formazione più articolata, che risponda alle esigenze del mercato.  Le due grandi scommesse sono: rafforzare la formazione del sommelier come figura che sappia non solo gestire il vino ma soprattutto comunicarlo bene, comunicare bene la complessità del mondo del vino. Non ci fermiamo ma ci evolviamo e adeguiamo ai tempi. Neanche la pandemia ha arrestato l’interesse e l’entusiasmo per questo mondo.

A proposito del sommelier. Come è cambiata questa professione negli ultimi venti anni e quali sono i gap da colmare affinché ci sia un pieno riconoscimento economico e professionale di questa figura?
Oggi, il sommelier è un libero professionista completo, che spazia dal servizio alla comunicazione fino alla gestione della sala e della cantina mentre prima si limitava solo al servizio. AIS Sicilia sta facendo un grande lavoro attraverso i corsi offerti agli istituti alberghieri, con l’obiettivo di valorizzare il sommelier e tutto il comparto F&B. Sappiamo che avere un professionista in sala preparato e in grado di comunicare bene il mondo del vino, aumenta il fatturato fino al 40%. È importante anche il ruolo del sommelier all’interno delle aziende vitivinicole che fanno enoturismo, perché oggi il vino non è solo un bene commerciale ma anche uno strumento di promozione di un determinato territorio e della sua storia. Ci sono da superare alcuni ostacoli di natura culturale ed economica per valorizzare al meglio il ruolo del sommelier. Spesso, le resistenze sono legate alla gestione familiare nel settore della ristorazione. Per superarle, occorre fare sistema coinvolgendo gli attori principali: dalle associazioni di categoria ai sindacati e le scuole.

In questi ultimi venti anni abbiamo assistito ad un altro grande cambiamento nel mondo del vino legato all’interesse e alla percezione dei consumatori e dei wine lovers. In che modo, AIS ha (re)agito?
Abbiamo assistito ad un interessante e positivo processo di democratizzazione: il vino è diventata materia di interesse generale e collettivo e ha generato un pubblico più consapevole. Tutto questo, si è tradotto in un volano per l’economia siciliana, dalla ristorazione all’enoturismo, ai corsi di formazione e comunicazione. Sono tutti cambiamenti che hanno avuto un impatto positivo anche dal punto di vista economico. Qualche piccola deviazione ci può stare. Quale? Tutti parlano di vino ma non tutti sono competenti e spesso sono autoreferenziali.

Cosa affascina del mondo del vino e oggi, quali sono gli elementi giusti per comunicarlo?
Il vino è un prodotto che, al di là delle tendenze e delle mode, da otto mila anni non ha mai perso valore.   Racchiude un fascino, una cultura e dei valori imperituri perché legati alla storia della nostra terra. Rappresenta anche un rituale eterno, è parte integrante della cultura mediterranea e delle nostre tradizioni familiari.  Oggi più che mai nel vino si cercano questi valori di autenticità. Comprendere il vino è sicuramente difficile, capire elementi come armonia, territorio, identità richiede cultura, competenza e conoscenze tecniche per comunicarlo in maniera autentica ed efficace. Il passaggio che ha segnato il cambiamento nella comunicazione è stato caratterizzato dall’aver visto il vino non semplicemente come prodotto ma come espressione di una cultura, di un territorio. Tutto questo è ancora in evoluzione ed è necessaria anche una piena adesione ai nuovi strumenti e linguaggi.

In questi venti anni le aziende vitivinicole siciliane sono cambiate e con esse è cambiata la vitivinicoltura in Sicilia. Quali sono, secondo lei, i prossimi step e obiettivi da raggiungere?
Molte aziende hanno già fatto questo passaggio: raccontare un territorio, comunicare una cultura significa fare un vino di qualità. Le aziende siciliane si sono ben strutturate seguendo un modello produttivo che nasce dalla qualità ma che è anche espressione del territorio, delle persone. Il cambiamento c’è stato ed è stato significativo: ci sono stati investimenti, sono nate imprese, cantine, creando sviluppo e occupazione. È nato un grande indotto, molto articolato, complesso e ricco.  Molti giovani sono rientrati in Sicilia e sono tornati a coltivare la terra, i vigneti, dopo aver viaggiato e girato il mondo. Questa ondata di ritorno e di cambio generazionale ha portato e continuerà ancora a portare grande innovazione e cambiamento.

Prima il Nero d’Avola e il Grillo, poi i vini dell’Etna. Quale sarà il prossimo vino che si unirà a questa triade rappresentativa della Sicilia vinicola?
L’Etna ha ancora margini di crescita importanti e, in questa crescita tumultuosa, dovrà trovare un’identità compatibile con la diversità e complessità. Il vino siciliano ha un forte appeal e gode di un grande elemento che in pochi hanno: la diversità. Per continuare a tutelare la diversità bisogna valorizzare territori meno vocati e conosciuti e riprendere vecchie tradizioni. Ad esempio, io punterei e recupererei il vino Marsala, ripartendo  dall’essenza, la tradizione, la cultura.  Rivedrei i vecchi stili di produzione e li riadatterei. Bisogna fare un grande lavoro sul Marsala, capire se il mercato accetta un vino liquoroso. Non bisogna per forza stupire ma comprendere l’essenza di questo vino. Altro territorio interessante è quello di Faro, con interpreti straordinari. Ci sono altri vitigni che possono esprimersi a livelli unici come il Catarratto che, in montagna riesce a tirare fuori grandi espressioni, ma che è molto bistrattato. Essendo una regione vitivinicola giovane, rispetto ad altre realtà, in Sicilia manca ancora la storicità. È solo una questione di tempo, sono molto fiducioso. Tempo e pazienza e soprattutto un grande lavoro di sinergia tra istituzioni, università, produttori, associazioni.

Liliana Rosano

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