“Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali.”
Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo.
La sala Basile di Villa Igea è gremita.
Un pubblico eterogeneo: studenti universitari, giornalisti, chef e appassionati del buon cibo sono corsi in raccolta per assistere al dibattito di chiusura di una intensa due giorni dedicata alla Sicilia, non una regione ma un “continente gastronomico”.
Una manifestazione questa fortemente voluta da Ciccio Sultano, il bistellato chef presidente de Le Soste di Ulisse, l’associazione che raggruppa i migliori ristoranti, alberghi e cantine dell’isola promuovendo le eccellenze dell’enogastronomia siciliana.
Ma c’è chi pensa non sia abbastanza, che si debba fare meglio e di più.
Una voce fuori dal coro che ha raccolto applausi e qualche critica (bisbigliata).
Una voce autorevole, perché è quella del miglior chef del mondo secondo la classifica 50 Best restaurants 2016.
Massimo Bottura non le manda a dire: “Siciliani, siete pigri. Dovete uscire, viaggiare, andare a raccontare la vostra terra.” E incalza “Spiegate ad un giapponese cosa è una mandorla e ad uno statunitense cosa è un cappero. Dovete essere ambasciatori della Sicilia, dei suoi prodotti e delle tantissime eccellenze che questa regione unica custodisce.” Infine lancia una proposta “Create un fondo, che i produttori si auto tassino per finanziare voi chef, perché dovete essere voi a spingere in avanti la Sicilia, a far crescere l’immagine della vostra terra, basta scuse!”
In molti applaudono, qualcuno storce il naso, qualcun altro sorride con aria di sufficienza pensando “ma che ne sa un emiliano di come funziona la Sicilia, delle strane regole che la governano.”
Cosi mi torna in mente il Gattopardo, croce e delizia dei miei studi classici. E vedo Bottura come un redivivo Tomasi di Lampedusa, quel principe che conosceva bene la Sicilia e che aveva capito i siciliani, con quella tensione tutta loro alle vetta ma incapaci di scalare la montagna; con il loro autoreferenzialismo, con il voler trovare una scusa ( che di sicuro c’è ed è anche buona) per non fare: “Si, però…” “Vorrei ma forse…” “Ma noi abbiamo il sole e il mare” etc etc.
Ma adesso basta. “Dobbiamo scrollarci di dosso un atteggiamento che ci porta ad adagiarci su quanto c’è già di bello in Sicilia, e non per merito nostro” aggiunge la scrittrice Simonetta Agnello Hornby “E’ arrivato il momento di lavorare duro.” E chiude “ se la Sicilia non è pronta ora non lo sarà mai.”
Ma è davvero l’immobilismo il difetto di fabbrica dei siciliani?
Possiamo forse negare come negli ultimi vent’anni in tanti si siano battuti per far crescere e promuovere l’immagine di una terra difficile, contraddittoria quanto bella?
Il “pigro” Ciccio Sultano assieme ad altri “scansafatiche” come Pino Cuttaia, Nino Graziano, e tanti chef e produttori ancora hanno davvero contribuito a costruire una Sicilia diversa dove l’eccellenza è la chiave di uno scrigno che custodisce ricette e tradizioni uniche al mondo.
Si, è vero quello che dice Enzo Vizzari, direttore de Le Guide dell’Espresso, quando rimarca come la reputazione della cucina siciliana non sia al livello della grande qualità che la nostra terra esprime.
Ed è anche vero, come dice Bottura, che bisogna fare di più; ma le fondamenta di quello che sarà ci sono, e sono state costruite da questo gruppo di visionari innamorati della loro terra, che con l’entusiasmo dei bambini hanno creduto e scommesso su una regione straordinaria, sul “Continente” Sicilia.