Cantine Aperte, un appuntamento con il Sangiovese a Tenute Nicosia

 

Nel contesto di Cantine Aperte, l’evento nazionale di Movimento del Turismo e del vino, Tenute Nicosia ha dedicato spazi importanti ad approfondimenti come quello sul Sangiovese, curato da Santi Natola.

Il laboratorio, svoltosi a Tenuta Monte Gorna, costituisce uno di quegli appuntamenti del vino che vanno assaporati in modo multisensoriale, perché adotta la cosiddetta “confidenza musicale”. La degustazione sensoriale è stata, infatti, accompagnata da brani musicali (con un gruppo dal vivo) con l’obiettivo di condividere le sensazioni con i partecipanti. Tra i brani, il “domatore di pulci” di Stefano Bollani, per anticipare il racconto sensoriale di “un rosso del Nord, ma dalle ascendenze meridionali, genitore o figlio del Gaglioppo cirotano, del Frappato vittoriese, del Perricone e del Nerello Mascalese”, come affermato dallo stesso Natola.

Il vitigno

Del vino e del relativo vitigno si sa che fosse prodotto dagli etruschi e dai romani. L’etimologia è incerta. Il termine si accosta ad antiche parole etrusche come Sanisva (progenitore del termine dialettale romagnolo sanzvés), che significa padre o antenato defunto e sarebbe connesso al vino dei padri o al vino offerto per eventi funerari familiari. Altri lo collegano a Sanguis Jovis, cioè il sangue di Giove, oppure Sangue dei Gioghi collinari o Giovevole al sangue. O ancora, si riferisce a San Giovanni Battista. Il sangiovese è un’uva, infatti, che produce i suoi germogli sul finire di giugno e il 24 di questo mese è la festa del santo, per cui l’uva viene anche chiamata Sangiovannina, soprattutto in Toscana. A prescindere dall’origine del nome, si tratta di un vitigno che è alla base di vini di grandissima qualità e rilevanza mondiale, dal Brunello di Montalcino, al Nobile di montepulciano, ai Super Tuscans, al Chianti Classico. Con il nome di Sangiogheto appare in uno scritto del 1590. Nel XVIII secolo, prende il nome di San Gioeto, San Zoeto e San Gioveto, soprattutto nel suo percorso toscano, per poi pian piano assumere il nome attuale.


NOTA: il sangiovese definisce un ampio numero di sottovarietà o cloni. Ad esempio, in Toscana si distinguono due grandi famiglie: il sangiovese grosso, conosciuto nel corso della storia con altri nomi quali “Brunello” a Montalcino e “Prugnolo Gentile” a Montepulciano, ed il sangiovese piccolo, utilizzato diffusamente in tutta la regione. Costante comune tra le varie tipologie è un tannino deciso accompagnato da buona acidità. Recentemente la differenziazione tra sangiovese grosso e sangiovese piccolo non è più tenuta in considerazione non avendo alcun riferimento tassonomico e scientifico. L’attuale disciplinare del Consorzio del Brunello di Montalcino non cita più il “Sangiovese Grosso”, ma solo “Sangiovese” (fonte).


Il sangiovese, che tanto lustro ha dato alla Toscana, ma che è anche molto diffuso in Romagna e sul Tirreno, sembra avere origine più lontane. Uno dei due genitori, limitandoci alle teorie e alle analisi molecolari più vicine nel tempo, potrebbe essere il ciliegiolo. Un’altra tesi suggerisce che un genitore possa essere un vitigno calabrese recuperato recentemente in terreni campani, localmente definito calabrese di Montenuovo. Altro possibile genitore potrebbe essere un varietale meridionale, probabilmente pugliese, anch’esso recentemente recuperato, il negrodolce.
Comunque, è oramai acclarato che il sangiovese fosse coltivato nel meridione, soprattutto in Sicilia e in Calabria. In queste regioni, incrociandosi con il mantonico bianco (o montuonico, vitigno calabrese) ha generato il nerello mascalese, il gaglioppo di Cirò e il mantonicone. È inoltre genitore dei siculi frappato e perricone. In ogni zona della penisola il Sangiovese regala caratteristiche organolettiche peculiari. Addirittura, mostra sfumature differenti nella stessa regione essendo, come detto dallo stesso Natola, più gioviale in Chianti, più misurato in Castellina in Chianti, più succoso e immediato in Barberino Val d’Elsa, più elegante, dritto e scheletrico in San Casciano Val di Pesa. La disamina gustativa è stata suddivisa in due batterie composte rispettivamente da tre vini la prima e quattro vini la seconda. Due le referenze della cantina ospitante.

DOCG Chianti Classico 2022 – Castellare di Castellina
Sangiovese 95% e Canaiolo 5%
Domini Castellare di Castellina è un gruppo di cui fanno parte quattro realtà imprenditoriali legate al mondo del vino: due di esse si trovano in Sicilia, Gurra di Mare a Porto Palo di Menfi (Agrigento) e Feudi del Pisciotto a Niscemi (Caltanissetta); le altre due hanno la loro sede in Toscana e sono Rocca di Frassinello in Maremma e Castellare di Castellina in Chianti. Presidente del gruppo è Paolo Panerai, giornalista, che nel 2018 ha anche fatto sua la maggioranza delle azioni di Gambero Rosso e che ha incominciato il suo percorso di imprenditore del vino grazie alle indicazioni e ai consigli dell’enologo Giacomo Tachis. L’attuale enologo di tutte le cantine del gruppo, sin dal 1996, è Alessandro Cellai. Castellare di Castellina è composta da quattro poderi, Castellare, Caselle, San Niccolò e Le Case, riunite tra il 1968 e il1978. Quest’ultima data segna il momento in cui acquisì definitivamente gli appezzamenti per produrre Chianti Classico d’eccellenza, tra tradizione e innovazione. Il tutto avvenne grazie anche ai contributi e suggerimenti del professor Attilio Scienza, in virtù di una vigna sperimentale da lui guidata in collaborazione con l’Università di Milano, e all’enologo Emile Peynaud, puntando sul sangioveto (nome locale/dialettale) e sulla malvasia nera: l’impresa di Panerai ha dato un’impronta importante a quel processo di Rinascimento del vino italiano avviatosi con convinzione sul finire degli anni’70 e concretizzatosi pienamente negli ultimi trent’anni. L’azienda è estesa 80 ettari, di cui 20 adibiti a uliveto. Gli ettari vitati sono 33, l’altitudine media 370 metri s.l.m. Le vigne sono coltivate su suoli misti di marne calcaree, galestro e poca argilla. Oltre al sangioveto, da cui si trae anche una grappa, e alla malvasia nera, vengono coltivati, merlot, cabernet sauvignon, ciliegiolo, canaiolo, chardonnay, sauvignon blanc, malvasia bianca e trebbiano toscano, da cui viene tratto anche un Vinsanto.
Questo vino fa affinamento in botti di rovere francese da 2,25 e da 5 ettolitri per sette mesi. Il colore è rosso carminio luminoso. Al naso è elegante, si colgono fiori blu, viola, e frutti rossi, in particolare la ciliegia selvatica, la marasca e la visciola. Il balsamico, la salvia, la liquirizia e un accenno vanigliato completano la sua palette olfattiva, fresca, minerale e fine. Elementi, questi ultimi, che si riscontrano anche al palato che rivela un vino sottile e scorrevole al suo ingresso. Esprime, poi, morbidezza, rotondità, sapidità e acidità compiute, con una persistenza tattile e una piccantezza finale interessante.

DOC Sicilia, Frappato 2022 – Tenute Nicosia
Frappato 100%
Le vigne di questo vino si trovano nella zona di Vittoria (Ragusa), a 200 metri s.l.m., su terreni sabbiosi. La tenuta è estesa 60 ettari, numerosi i vitigni coltivati. Affina in vasche di acciaio inox per poi sostare in bottiglia per almeno 1-2 mesi. Il colore è rosso rubino brillante. Al naso spinge su frutti rossi freschi e di bosco, in particolare la fragola, mirtillo e lampone. Emergono sentori floreali di petali di rose, speziature leggere e un erbaceo pungente di fieno. Erbe aromatiche, tè nero e una nota affumicata segnano ulteriormente il bouquet di questo vino. In bocca è equilibrato e dinamico. La trama tannica è ben gestita. Nel corso dell’assaggio fa sentire il suo animo vitale ed energetico. L’acidità è sferzante.

DOC Romagna Sangiovese Predappio, Predappio 2021 – Chiara Condello
Sangiovese 100%
Siamo in Romagna, a Fiumana di Predappio, in provincia di Forlì-Cesena, nell’areale della DOC Romagna. L’azienda si estende per 7 ettari ad un’altitudine compresa tra i 150 e i 360 metri s.l.m. Chiara Condello è una donna nata in vigna: fino all’età di 14 anni ha vissuto con il nonno materno che era proprietario di un terreno adibito a vigneto, ma anche alla coltivazione di grano e di alberi da frutto. Dopo la laurea in Economia si sposta a Singapore e, successivamente, in Australia. D’improvviso decide di far ritorno a Predappio per supportare l’azienda del padre Francesco, ossia “Condé”. Doveva essere una sosta breve e invece è diventata la svolta della sua vita. Grazie anche al sostegno dell’enologo Federico Staderini sceglie di acquisire alcuni vigneti da produttori locali salvando viti di 40 -50 anni a rischio estirpazione, di studiare enologia e confrontarsi anche con la realtà della Borgogna.
I suoli dei terreni vitati sono contraddistinti da un particolare tipo di suolo. Si tratta infatti del cosiddetto “Spungone”, termine derivante dal vocabolo dialettale spugnò o spungò, che fa riferimento al suo aspetto “spugnoso”. Si tratta di un particolare tipo di roccia arenaria calcarea, che deriva da depositi marini risalenti a tre milioni di anni fa. Lo spungone forma le colline romagnole della zona e si compone di un grossolano impasto di gusci di conchiglie marine agglutinate da cemento calcareo.
La filosofia enoica di Chiara è improntata al non interferire con i processi naturali e all’essere il meno interventista possibile sia in vigna che in cantina. Altro suo principio fondante è la tutela della biodiversità, tanto da adoperare in vigna preparati biodinamici o tisane prodotte con erbe spontanee. La purezza, anche del colore del vino, è un mantra della Condello che produce due vini: Le Lucciole, il più iconico della cantina, e il Predappio – ossia il vino in esame – entrambi Sangiovese 100 %. Le etichette sono annualmente realizzate da un artista.
Questo vino fa affinamento in botti di rovere di Slavonia e acciaio per qualche mese. Il colore è rosso rubino brillante. Al naso si palesano aromi di piccola frutta rossa e di fiori di campo. Si avvertono anche toni scuri di mora e cassis. La speziatura conduce al pepe nero. E ancora, accenni di cacao e tabacco. In bocca il tannino si muove con brio e discreta eleganza. Il sorso è ricco e pieno. Lungo e persistente, denota un bel carattere.

DOC Cirò Rosso Classico Superiore 2022 – L’Arciglione di Cataldo Calabretta
Gaglioppo 100%
Con l’Arciglione questo viaggio del vino giunge in Calabria. Cataldo Calabretta rappresenta la quarta generazione di una famiglia di viticoltori. Il termine arciglione, ossia la ronca per la potatura, costituisce il vessillo della tradizione secolare della viticultura cirotana, simboleggiando l’attaccamento alla terra e al lavoro delle vigne della famiglia Calabretta. Cataldo, dopo avere conseguito una laurea in agraria a Milano torna in Calabria e, nel 2008, riprende le vigne del nonno Cataldo, ristrutturando la vecchia cantina e decidendo di condurre in biologico. L’azienda fa parte di FIVI, Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti.  I vitigni coltivati sono il gaglioppo, che costituisce il 70% degli impianti, l’alicante (10%), ansonica (5%), malvasia (5%) e greco bianco (15%). ‘Ntagliata, Donnoccicio, Jumara, Jumara 2 , Cropia e Contrada Tronca sono i nomi dei vigneti dell’azienda, nei comuni di Cirò Marina, Melissa e Strongoli, collocati ad altitudini tra 1 e 100 metri s.l.m. Gli appezzamenti ammontano a complessivi 14 ettari, con suoli costituiti da argilla, misto argilloso-calcareo o ghiaioso.
Il vino affina per un anno e mezzo in vasca di cemento. Il colore è rosso rubino scarico. Al naso è elegante e non potente, in grado di donare pian piano le peculiarità del suo bouquet. All’olfazione rivela sentori di petali di rosa, viola, di frutti spinosi, di pepe, con una decisa nota agrumata e un aroma finale di distillato. In bocca è composto, ha una buona misura e avvolge nel tempo. L’acidità, ben gestita, è importante e sorregge la componente aromatica.

Sammarcello Pignatello 2021 – Barone di Serramarrocco
Pignatello 100%
L’azienda è situata nel trapanese, più esattamente alle pendici del monte Erice, a circa 350 metri s.l.m.  Si estende per 22 ettari, con terreni di medio impasto calcareo – argilloso parzialmente limoso e ricchi di scheletro, con elementi ghiaiosi e ciottolosi sparsi. Il suo fondatore, Marco di Serramarrocco ha iniziato la sua attività vitivinicola nel 2001. La sua storia precedente è molto complessa, prima un percorso da Lloyd’s broker a Londra, poi un lungo distacco dalla sua terra natale. Quest’ultimo accadimento fu causato dal grave clima di pericolo dovuto al fatto che il padre, caporedattore di un giornale, e il nonno, capo della polizia, erano persone in lotta contro le Brigate Rosse. Il barone e i suoi familiari furono costretti a cambiare nome, venendo privati, nel frattempo, dei propri possedimenti terrieri. Il Barone, successivamente, riuscì a tornare in Italia, approdando a Roma, dove tutt’ora vive e dove si appassionò al vino. In seguito, ritornò nei luoghi natii ericini, nel territorio delle “Quojane”, nome dei falchi del luogo. In questo contesto impiantò viti, seguendo le tecniche e la cultura ampelografica francese, adottando, ad esempio, molti più ceppi per ettaro. All’inizio, Il suo vino non venne compreso. Nonostante non abbia mai posseduto una cantina propria (ha sempre vinificato presso soggetti terzi), ha ottenuto la denominazione di “Vigna di Serramarrocco”, come la prima vigna della Denominazione di Origine Protetta Erice, quasi fosse un Cru. Le varietà utilizzate sono pignatello – nome locale del perricone, vitigno che era stato a rischio di estinzione e che adesso sta vivendo un periodo di fulgore – nero d’avola, cabernet franc, cabernet sauvignon, zibibbo, grillo e altri vitigni autoctoni a scopo sperimentale.
Per questo vino, la macerazione viene fatta in acciaio sulle bucce per 10-12 giorni, la fermentazione in vasche cemento e l’affinamento per 5 mesi in bottiglia. Il colore è rubino profondo. Al naso dichiara sentori di frutta rossa, soprattutto ciliegia e amarena. È boschivo e vegetale, con aromi di foglie secche, castagne, aneto, eucalipto e humus. La speziatura del pepe nero si affaccia sul finale. In bocca entra con freschezza per poi divenire prontamente pieno, calorico, lungo, con tannini delicati, sembrando quasi che assuma i caratteri del cabernet sauvignon. L’acidità sicuramente non è il suo forte.

DOCG Brunello di Montalcino 2019 – Patrizia Cencioni
Sangiovese 100%
L’impresa è situata a Montalcino, in provincia di Siena, nel centro della DOCG omonima. L’Azienda Agricola Patrizia Cencioni ha una connotazione familiare e, soprattutto, femminile importante. A gestirla è infatti la titolare Patrizia Cencioni, assieme alle figlie Annalisa e Arianna. I vigneti sono stati impiantati nel 1989. Lo stesso anno è stata fondata l’impresa che origina da un’antica azienda di Montalcino generata, negli anni 50, dalla passione vitivinicola del nonno di Patrizia, Giuseppe Cencioni, uno dei fondatori del Consorzio del Brunello di Montalcino. I terreni dedicati alla produzione di Brunello di Montalcino sono ubicati a circa 350 metri s.l.m. e sono prospicienti la Val d’Orcia. Questi vigneti attorniano le cantine e le sale degustazioni e distano pochi chilometri dal centro del paese. L’estensione totale delle proprietà è di 50 ettari, di cui 9 impiantati a sangiovese e 7 adibiti ad uliveto, da cui si trae un extravergine di oliva. I suoli hanno base argillosa e sono lievemente sabbiosi, con un’elevata percentuale di galestro, tutte caratteristiche che concorrono a conferire ai vini ricchezza nei profumi e complessità nella struttura.
Questo vino fa affinamento per quattro anni in botti di rovere francese da 7,5 ettolitri. Il colore è rosso rubino luminoso con sfumature tra il bordeaux e l’amaranto. All’olfatto sprigiona subito fragranze di mirtilli, more, iris e violetta. Boschivo, di grande intensità e coinvolgente, regala note di viola, aromi balsamici, speziati, agrumati e tenuamente affumicati fusi a sentori legnosi. In bocca è carezzevole e, insieme, potente. Morbido e succoso, mostra cenni sapidi interessanti, con un bell’equilibrio tra trama tannica e spinta acida. Finale persistente.

DOC Etna Rosso, Contrada Monte Gorna Vecchie Viti 2015 – Tenute Nicosia
Nerello Mascalese 90% e Nerello Cappuccio 10%
Ci troviamo nell’areale sud-orientale etneo, esattamente nella zona di Trecastagni. I vigneti, a 700-750 metri s.l.m., sono caratterizzati da suoli costituiti da sabbie vulcaniche, molto ricchi di minerali. Questo vino fa affinamento in modo preponderante in acciaio. Il 50% del vino affina per 5-6 mesi in barrique e per ulteriori 3-4 mesi in botte grande. La maturazione prosegue per almeno 6 mesi in bottiglia.
Il colore è rosso carminio medio. Frutti rossi si muovono agilmente e in modo deciso tra gli altri sentori olfattivi, contraddistinti da aromi di agrumi rossi, in prevalenza arancia e chinotto, e note floreali di zagara. Mineralità metallica, quasi ferrosa. Note speziate di liquirizia. Al sorso mostra una freschezza vitale, struttura e vivacità. Setoso, esterna una cucitura delicata tra alcol e tannini. Buona persistenza.


Nel corso dell’evento è stato annunciato l’immancabile appuntamento estivo di Tenute Nicosia, Bolle in Vigna, che si terrà il 24 luglio. Il programma prevede una masterclass e il party. Tema centrale della degustazione guidata sarà: lo Spumante Metodo Classico da vitigni autoctoni, con la conduzione di Daniela Scrobogna.

di Gianmaria Tesei