Cheese, a Bra il trionfo dei formaggi dal 17 al 20 settembre

 

Cheese, la manifestazione internazionale dedicata alle forme del latte, si terrà a Bra (Cn) dal 17 al 20 settembre 2021. Considera gli animali è il tema della tredicesima edizione, un focus sul regno animale e la varietà di connessioni con le azioni dell’uomo. Senza di loro infatti non esisterebbe l’infinita biodiversità casearia che tocchiamo con mano ogni due anni a Bra.

Serena Milano

«Senza animali non avremmo latte e formaggi. E non esisterebbe neppure Cheese! Proprio per questa ragione abbiamo deciso di mettere gli animali al centro del nostro programma, affinché anche il pubblico prenda consapevolezza dell’urgenza di rivedere il nostro rapporto con la natura e con il mondo animale». Serena Milano, segretario generale della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus, ha presentato così la tredicesima edizione di Cheese- il più grande evento internazionale dedicato ai formaggi a latte crudo e alle forme del latte. «Un team di ricerca israeliano ha pubblicato sulla rivista Natureuno studio sulla distribuzione della biomassa a livello terrestre – ha proseguito Milano – e i risultati sono sorprendenti: se guardiamo ai mammiferi, il 36% del totale è rappresentato da esseri umani, il 60% da animali allevati e appena il 4% da quelli selvatici, come elefanti, pipistrelli, panda e balene. È una proporzione spaventosa e della quale spesso non abbiamo contezza: dove si trovano tutti questi mammiferi allevati? Non li vediamo mai, perché perlopiù restano rinchiusi nei capannoni industriali».
Che cosa c’entra tutto questo coi formaggi? C’entra eccome: basta pensare che «negli ultimi 30 anni l’Italia ha perso il 90% dei suoi pastori», cancellati da un’industria casearia sempre più forte.

Ma considerare gli animali implica non ragionare soltanto di vacche, di pecore o di capre: occorre andare oltre e chiederci quali sono gli elementi vivi, appartenenti al mondo animale, che influiscono nel processo che ci consente di avere il latte e di conseguenza il formaggio: non soltanto i capi da latte, ma anche gli insetti impollinatori (a cui dobbiamo le fioriture) e i microrganismi che abitano il suolo e lo rendono vivo: funghi, batteri e lieviti, per citarne qualcuno. Protagonisti di Cheese accanto ai mille caci.


Cheese, fin dalla prima edizione, è l’occasione per degustare e acquistare formaggi, accompagnandoli a un buon calice di vino. Ma la manifestazione non si riduce soltanto a questo: da sempre è il luogo in cui lottare per far valere le proprie idee e salvaguardare un patrimonio troppo spesso minacciato da una politica miope e da interessi prepotenti dell’industria casearia. «Nel 1997, quando siamo partiti, in Italia non si discuteva neppure di latte crudo» ha ricordato Barbara Nappini, la neoeletta presidente di Slow Food Italia. «In quel periodo, i pastori e i casari che lavoravano con il latte crudo lo facevano quasi clandestinamente, perché per la maggiore andavano i formaggi con latte pastorizzato. Noi, sostenitori del latte crudo, abbiamo però vinto quella battaglia, al punto che oggi i formaggi prodotti in questo modo si distinguono per qualità ed eccellenza».

Negli anni, poi, Cheese è stato a più riprese il palcoscenico dove far valere le ragioni di chi crede che si debba conservare e valorizzare la biodiversità dei pascoli, scongiurando il rischio di omologazione dei formaggi prodotti in modo industriale. «Nel 2015, ad esempio, la battaglia era contro l’utilizzo del latte in polvere per la produzione di formaggi- ha proseguito Nappini – ma anche in questo caso abbiamo avuto la meglio».

Oggi serve schierarsi contro i fermenti industriali. «A Cheese 2021 la stragrande maggioranza dei formaggi saranno naturali, tranne rare eccezioni inevitabili per disciplinare, come il gorgonzola che è comunque un formaggio straordinario- ha assicurato Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus -. Anche quest’anno insistiamo sul tema del latte crudo e dei naturali, che rappresenta una biodiversità invisibile, ma fondamentale per la vita».

Cheese 2021, un assaggio del programma
Il programma in aggiornamento è su cheese.slowfood.it

L’appuntamento, come detto, è dal 17 al 20 settembre. «Parteciperanno produttori e affinatori italiani e internazionali, provenienti da Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia e Svizzera» ha spiegato Alessandra Turco, responsabile eventi di Slow Food. I formaggi saranno assoluti protagonisti, ma non mancheranno mieli, confetture, mostarde e una selezione di Presìdi Slow Food di salumi senza nitriti e nitrati – già presente nell’edizione 2019. E poi i consueti Appuntamenti a Tavola, in programma all’Agenzia di Pollenzo, e gli imperdibili Laboratori del Gusto, che quest’anno metteranno in ancor più stretta relazione «produttori e cuochi, per dimostrare che da prodotti fatti come si devepossono nascere piatti straordinari. Infine non dimentichiamo i momenti di riflessione sul tema dell’edizione 2021: le conferenze che si svolgeranno ancora online, in parte, e di nuovo, fortunatamente dal vivo, presso la Casa della Biodiversità».


I formaggi siciliani Presìdio Slow Food

La Vastedda della Valle del Belice
La Vastedda è l’unico formaggio di pecora a pasta filata italiano. Lo producevano storicamente gli abili casari della Valle del Belìce nel periodo estivo, tentando di recuperare i pecorini che presentavano dei difetti. Il nome deriva infatti dal dialetto “vasta” cioè guasta, andata a male. L’idea straordinariamente originale è stata quella di rilavorare i pecorini mal riusciti facendoli filare ad alta temperatura e producendo questo formaggio a forma ovoidale da consumare fresco, entro due o tre giorni. Lo stile di lavorazione varia a seconda della zona di produzione e delle abitudini del casaro. Solitamente il latte crudo, di una o due mungiture, viene coagulato a circa 35-36°C con caglio di agnello o capretto prodotto in azienda. La rottura della massa viene effettuata con un bastone di legno, rotula, sino a ridurla a granuli grossi come un cece o un chicco di riso; dopo una breve sosta si raccoglie la pasta in un telo di lino e la si depone su un tavoliere. Dopo un’ora circa si taglia in pezzi, si colloca in un recipiente, solitamente di legno, e si ricopre con siero caldo a 55-60°C, per favorirne la fermentazione. Il periodo di maturazione varia a seconda dell’epoca di lavorazione, della temperatura esterna e dell’umidità. I casari più esperti riescono a stabilire empiricamente e manualmente l’esatta maturazione della pasta facendo delle prove di filatura. Raggiunta la giusta acidità, la massa viene tagliata a fette in un recipiente in legno, in cui si aggiunge acqua molto calda (90°C), e lavorata con l’ausilio di una pala di legno, la vaciliatuma. Nella fase finale della filatura, quando la pasta raggiunge la giusta consistenza, la massa viene tagliata in porzioni che, lavorate manualmente, assumono la forma di sfere. Queste, accuratamente chiuse, sono collocate in un piatto fondo di ceramica, dove in breve tempo assumono la tipica forma ovoidale appiattita chiamata vastedda (simile ad una pagnotta piatta). Formaggio straordinario per fragranza, suadenza e intensità gustativa, la Vastedda va consumata freschissima: dopo circa un’ora dalla formatura è pronta per il consumo. È delicatamente profumata e in bocca prevale una nota di burro con sottofondo di erbe della Valle del Belìce, come le graminacee e la valeriana. Il modo migliore per gustarla è tagliarla in grosse fette e condirla con olio extravergine siciliano, pomodoro e origano. Può anche essere utilizzata come ingrediente di alcuni piatti locali, ad esempio il tipico pane cunzato. Il latte proviene da una razza autoctona: la pecora del Belìce, un animale di taglia media, con testa fine, allungata e leggera, arti robusti e vello bianco. Il Presidio è nato con un paio di produttori coordinati dal Corfilac di Ragusa e si è successivamente ampliato riunendo altri casari del Belìce. Da qualche anno è nato il Consorzio di tutela della Vastedda della Valle del Belìce, che riunisce sette produttori e che ha ottenuto per questo formaggio la Dop. Tre di questi fanno parte del Presidio Slow Food. La vastedda si produce da maggio a ottobre

Piacentinu Ennese
Tra i monti Erei e la valle del Dittaino, in provincia di Enna, le primavere sono molto piovose e le estati umide. La ricca vegetazione (sulla,veccia, rosmarino e finocchio selvatico oltre a numerose altre piante della macchia mediterranea) che cresce tra i 400 e gli 800 metri sul livello del mare ne fa una delle province siciliane con il maggior numero di allevamenti ovini. Comisana, pinzirita, valle del Belice sono solo alcune delle razze autoctone siciliane allevate tra queste colline. E, sin dai tempi antichi, dal loro latte unito allo zafferano coltivato nell’area, si ottiene il piacentinu, pecorino, che piace, in dialetto locale. Diversi sono gli aneddoti legati alla sua produzione. La leggenda vuole che Ruggero I, conte di Altavilla, già nell’XI secolo curò la depressione della moglie Adelasia invitando i casari del luogo ad aggiungere un pizzico di zafferano alla preparazione del pecorino. Prodotto in nove comuni della provincia di Enna, è a pasta compatta e unico nel suo genere: è infatti aromatizzato con zafferano – che conferisce alla pasta il caratterisco colore giallo – e pepe nero in grani – posto in ammollo in acqua calda la sera precedente la produzione. La tecnica di lavorazione, che prevede l’aggiunta di acqua calda alla cagliata, e l’uso attento del sale ne fanno uno dei formaggi meno aggressivi della Sicilia, il “più europeo”. Dopo una maturazione di circa 60 giorni, ha odore delicato e sapore aromatico e dolciastro dovuto alla presenza dello zafferano. Il piacentinu ennese è reperibile tutto l’anno.
Al momento solo tre produttori producono piacentinù ennese, utilizzando latte crudo, caglio naturale e zafferano prodotto nei 9 comuni dell’area. Le produzioni attuali non riescono a soddisfare il mercato in quanto la richiesta è maggiore alla produzione. Con il Presidio si vuole rivalutare questo formaggio storico della provincia ennese e coinvolgere altri casari dell’area di produzione per aumentare le quantità prodotte e farlo conoscere al di fuori della Sicilia.

Provola dei Nebrodi
È un tradizionale caciocavallo siciliano prodotto artigianalmente dai casari dei monti Nebrodi, che si tramandano la tecnica di caseificazione di padre in figlio. Le dimensioni variano a seconda dell’area di produzione, si va dal chilogrammo nei Nebrodi Nord Occidentali (area di Mistretta, Castel di Lucio, Caronia), al chilogrammo e mezzo, quasi due chili nei Nebrodi Centrali (area di Floresta, Ucrìa, Castell’Umberto) per arrivare ai cinque chili nei Nebrodi Orientali (Basicò, Montalbano Elicona). La forma è ovoidale, con la classica testina dei caciocavalli (utilizzata per legare le forme e appenderle). Si produce con latte vaccino crudo coagulato con il caglio di agnello o di capretto e poi filato (gettando acqua calda sulla massa). Prima della filatura la pasta della Provola dei Nebrodi è manipolata a lungo: una tecnica simile a quella usata per impastare il pane, grazie alla quale il formaggio tende a sfogliarsi in bocca.
Le forme hanno crosta liscia, lucida, di colore paglierino ambrato. Il sapore varia dal dolce al piccantino, con il progredire della stagionatura. È un ottimo formaggio da tavola, ma è anche utilizzato come ingrediente in alcuni piatti tipici. La provola dei Nebrodi si produce da marzo a giugno. Deve essere stagionata almeno tre mesi. L’obiettivo del Presidio è valorizzare questo antichissimo formaggio, ma anche il suo territorio, selvaggio e boscoso. Pascolo endemico, popolazione bovina principalmente autoctona e tradizionale tecnica casearia diventano un “naturale microecosistema culturale” che contiene la globalità del territorio: uomo, animale, pianta e suolo. Il Presidio intende dare il suo contributo per definire ed eventualmente migliorare le numerosi varianti produttive, per incentivare una maggior stagionatura dei formaggi e per far conoscere la Provola dei Nebrodi ai consumatori di tutta Italia, in particolare ristoratori e selezionatori.

Provola delle Madonie
Un po’ più schiacciata e panciuta della cugina, la non molto lontana provola dei Nebrodi, si produce all’interno di una delle aree più ricche di biodiversità d’Italia: le Madonie. Una terra montuosa a ridosso del mare: dalle sue alture lo sguardo spazia fino all’Etna, alla catena dei Nebrodi e alle isole Eolie. Si tratta di un tipico formaggio vaccino a pasta filata; ha la forma di un fiasco panciuto e la crosta liscia e sottile di color giallo paglierino. Il latte, crudo e intero, è riscaldato a 37-38°C nella tradizionale tina di legno, ad esso si aggiunge caglio ovino in pasta. Una volta raggiunta la densità voluta, si rompe la cagliata in grani delle dimensioni di una nocciola e la si lascia riposare per un tempo variabile, versando acqua o siero caldi. La massa è poi messa ad asciugare su un tavolone di legno e tagliata in fette sottili che vengono poste nella tina e bagnate con acqua a 85°C. A questo punto si effettua la filatura della pasta, maneggiandola con le mani e con l’aiuto di un bastone. Quando raggiunge una buona elasticità si formano delle piccole pere (la provola classica è tondeggiante, con “collo” molto corto) che, legate a due a due e appese a cavallo di una pertica, stagionano per almeno 10, 15 giorni in ambienti freschi e aerati. Esiste anche una versione leggermente affumicata. La provola delle Madonie è compatta, tenera, elastica, di sapore dolce e delicato. E’ ottima accompagnata con il buonissimo pane di grano duro della zona prodotto con lievito naturale (lu criscenti) e cotto a legna. Quando è fresca, badate a non coprire i suoi fragranti sentori lattei: in questo caso scegliete vini molto leggeri e secchi; per restare sui vitigni locali, provate un Inzolia. Se invece ha una buona stagionatura, abbinatela al classico Nero d’Avola. La provola delle Madonie si produce da marzo a giugno. Deve essere stagionata almeno tre mesi.

Maiorchino
Pare che il Maiorchino abbia fatto la sua comparsa intorno al Seicento. Ancora oggi, a Carnevale, con le forme stagionate, nei comuni di Basicò e Novara di Sicilia (in provincia di Messina), si effettua la tradizionale ruzzola: i pastori gareggiano facendole rotolare lungo il pendio della via principale del paese.
Si produce da febbraio fino alle seconda decade di giugno (nelle annate migliori) in piccolissime quantità, lavorando latte crudo di pecora (con un’aggiunta del 20% circa di latte di capra e a volte anche fino a un 20% di latte di vacca) e unendo caglio in pasta di capretto o agnello. Gli animali sono allevati sui pascoli ricchi di essenze foraggere spontanee dei monti Peloritani. Le attrezzature sono tradizionali: caldaia di rame stagnato (quarara), bastone di legno (brocca), fascera di legno (garbua), tavoliere di legno (mastrello), asta di legno o ferro.
Dopo la rottura della cagliata in grani minuti e la cottura nella quarara, si colloca la pasta nelle fascere. Inizia a questo punto l’affascinante fase della foratura (o bucatura), per favorire la fuoriuscita del siero dalla pasta. Con un ago di ferro (il minacino) si forano le bolle d’aria che via via si formano nella pasta, pressando poi delicatamente con le mani la superficie del pecorino. Un’operazione lenta e paziente che può durare anche due ore e che viene ripetuta, se necessario, dopo una seconda cottura. Si sala a secco per 20, 30 giorni e infine si fa stagionare (fino a 24 mesi) in locali di pietra interrati, freschi e umidi, dotati di scaffali in legno.
Il maiorchino ha forma cilindrica a facce piane o lievemente concave, crosta giallo ambrato che diventa marrone con l’avanzare della stagionatura e una pasta bianca compatta tendente al paglierino. L’altezza dello scalzo è di 12 cm e il diametro di 35 cm, il peso va dai 10 ai 18 chili. Il maiorchino si produce da febbraio a giugno, stagionato almeno quattro mesi, si può reperire tutto l’anno. Il Maiorchino è il risultato di una tradizione secolare, ma è ad alto rischio di estinzione. La tecnica di produzione è infatti molto complessa e il formaggio richiede un lungo periodo di stagionatura: questo intenso lavoro di preparazione non viene ripagato dal mercato. Il Presidio vuole risollevare le sorti del prodotto, cercando di convincere i produttori locali a far rinascere una produzione di formaggio che ha grandi potenzialità. Ancora oggi, durante il carnevale, i pastori di Basicò e Novara di Sicilia gareggiano facendo rotolare il Maiorchino stagionato lungo il pendio della via principale del paese.

 

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