Tengo questa foto sul tavolo dal 2005. Vi sono molto affezionato e c’è più di un motivo. Ricorda un episodio accaduto nel febbraio di quell’anno, un “viaggio di istruzione” con Diego Planeta, con i suoi ragazzi e alcuni colleghi, il miglior team che ricordo da sempre. Per questo, mi sentivo fortunato e allo stesso tempo onorato di potervi far parte. La crescita professionale, soprattutto per chi ama il proprio lavoro, aumenta il sentimento di stima e attaccamento al gruppo. Genera un senso di vicinanza che resta sempre, anche dopo anni.
Così, dopo ad una tappa a Châteauneuf-du-Pape e una tra Volnay e Pommard, tra chiacchiere e fumo di sigaretta, il pulmino si era diretto verso Vosne-Romanée. Ricordo quel sorriso graffiante, sornione, quell’astuzia vigile e sottile che aveva preceduto il lancio del guanto di sfida.
Sì, Diego Planeta era appoggiato al muretto del Cru de Clos più famoso del mondo e sorrideva accanto ad una sua bottiglia di Cerasuolo di Vittoria. Sullo sfondo, le vigne “impossibili” de la Romanée-Conti, alle spalle Richebourg. Il suo humor, tagliente e fiero, difficile da elaborare per chi non ne comprendeva il senso, aveva tra le sue componenti un eroico coraggio che sussurrava: “non è mai impossibile”.
In quella situazione – celato dietro lo scherno – ho visto di più. Mi piace ricordarlo così. Una esortazione alla consapevolezza, all’orgoglio, per sé e per i siciliani, l’azzeramento della distanza, della paura e della sottomissione che la sua terra conosce. Credeva nella sua Isola, l’amava visceralmente. Viceversa, lottava contro chi – per mero tornaconto – la sminuiva. Per essa avrebbe (ed ha) fatto qualsiasi cosa.
Non posso dire di averlo frequentato costantemente, ma le percezioni che mi dava quando lo incrociavo erano fulminee. Tra le sue migliori qualità, la curiosità, l’intuito, la determinazione, la creatività. Tra le sue difese più efficaci, un’allergia alla mediocrità e all’approssimazione, unite ad un malcelato malumore per lo spreco del tempo. Verso la politica se ne avvertiva l’incompatibilità, soprattutto quella vuota, orfana di idee.
Strettissimo il legame con i suoi fratelli e sorelle: Francesca, Girolamo, Carolina, Annamaria, Giovanni e Marina, tutti coinvolti a vario titolo, figli e nipoti inclusi. Da loro è passata la costruzione del successo imprenditoriale. La sua trincea era l’azienda, le relazioni familiari, la sua casa la campagna, lontano da tediose città brulicanti. La verità era da lui annunciata senza veli sino a percepirne, se necessario, il terribile peso. I suoi suggerimenti erano coerenti, concreti, privi di possibili interpretazioni. Uscire illesi da un contatto con Diego Planeta era improbabile, soprattutto per gli amici e collaboratori più vicini, capaci e meritevoli, ai quali affidava ogni responsabilità.
In questa circostanza, l’intensità di pensiero e la forza delle relazioni di Diego Planeta non possono non lasciare che un doloroso vuoto. Nel difficile momento della rielaborazione, il pensiero va ai figli Francesca e Giovanni, così come tutta la famiglia Planeta alla quale sono stato vicino per lungo tempo.
La foto resterà ancora sul mio tavolo, per ricordare che nulla è impossibile e che la bellezza della Sicilia vive in chi ci crede davvero, nella capacità di immaginazione e in ciò che si inizia per realizzarla.
Francesco Pensovecchio