La Doc Monreale, una storia iniziata nel 1147 con Guglielmo II d’Altavilla

 

Una piccola Doc Sicilia nella Doc Sicilia”. Scherza e sorride Mario Di Lorenzo, titolare dell’azienda vitivinicola Feudo Disisa, e Presidente del Consorzio di tutela di vini Doc Monreale. La provocazione non è priva di fondamento e la ragione è presto detta.

Trattasi, infatti, di una denominazione assai vasta, con tanti microclimi e tipologie di prodotti al suo interno. Inoltre, è la Doc più vicina alla città di Palermo. Dunque, gli abbiamo chiesto una breve intervista per tracciare, nella sua essenzialità, le caratteristiche di questa DOC in rapida evoluzione.

D. Dott. Di Lorenzo, delimitiamo il territorio della Doc Monreale
R. L’estensione della denominazione è, anche per varietà, sicuramente grande; un’eredità che si perde nella notte dei tempi con l’edificazione del Duomo di Monreale (cattedrale di Santa Maria la Nuova, oggi patrimonio Unesco) voluto da re normanno Guglielmo II d’Altavilla. Per finanziare la sua costruzione, iniziata nel 1147 e ultimata nel 1189, un periodo che stupisce ancora oggi in rapporto alla sua imponenza, il re normanno assegnò alla Chiesa un vastissimo territorio, che papa Alessandro III costituì in arcidiocesi lo stesso anno. In riferimento alla DOC, oggi, l’area comprende parte dei comuni di Monreale e Piana degli Albanesi, nonché i territori dei comuni di Camporeale, San Giuseppe Jato, San Cipirello, Santa Cristina Gela, Corleone e Roccamena, tutti per intero e in provincia di Palermo.

D. La Doc prevede tantissimi vitigni. Pare, invece, che la base ampelografica sia in discussione e si voglia scendere a soli quattro vitigni.

Un’antica mappa dell’Arcivescovado di Monreale

R. Si, l’idea è questa. Vorremmo dare massimo spazio a tre vitigni autoctoni che si trovano da sempre in quest’areale, inzolia e catarratto sul fronte dei bianchi, e perricone sul fronte dei rossi. La quarta è, invece, una varietà internazionale, il syrah.

D. Perché il Syrah?
R. Negli ultimi 20-30 anni si è dimostrato uno dei vitigni più performanti e premiati, sia a livello nazionale che internazionale. È un vitigno che si è ambientato in maniera esemplare, ai suoli e al clima. Molte aziende stanno lavorando su questo vitigno e come Consorzio pensiamo che possa trovare una forte identità, pur essendo una varietà alloctona. Grillo e Nero d’Avola, invece, ci appartengono meno.

D. Quante aziende producono nella Doc?

Uno dei mosaici di Monreale: Noè e il vino

R. Il numero è in crescita, con gli ultimi quattro nuovi ingressi siamo arrivati a dieci. Le aziende sono Principe Corleone, Alessandro di Camporeale, Sallier de la Tour, Baglio di Pianetto, Porta del Vento, Sirignano – Marchesi de Gregorio, Tamburello, Cooperativa Sociale Alto Belice, Case Alte e, ovviamente, Feudo Disisa.

D. Che produzione ha la DOC Monreale?
R. In “Doc” produciamo circa 50.000 bottiglie. Ma il potenziale è molto più grande. Quello che è importante è che tutti i vitigni e tutti i vini da essi prodotti trovino quel filo rosso che li colleghi al territorio. Questo non è semplicissimo. Anche per questo, per il momento, abbiamo preferito evitare livellamenti e non aderire alla Doc Sicilia. Ove possibile, l’impegno delle aziende è di trasferire le produzioni dalla IGT Terre Siciliane e Doc Sicilia verso la Doc Monreale per accrescerne il valore e l’importanza.

D. Che vantaggi ha la Doc Monreale?
R. Innanzitutto nel nome. Monreale, il duomo, sito Unesco, i mosaici bizantini, lo stile arabo-normanno, anche questo bene Unesco, hanno fama internazionale e identificato con questi luoghi e la Sicilia. Incrementarne la forza e la riconoscibilità è un obiettivo strategico. Per contro, il territorio circostante è conosciuto meno, persino dai palermitani nonostante sia facilmente raggiungibile e visitabile. Stiamo lavorando per costruire una comunicazione che metta in luce il territorio in senso più ampio. Inoltre, vorremmo che la Doc fosse riconosciuta anche a livello ministeriale, non solo come consorzio volontario di tutela, com’è invece oggi.

D. Prossimi obiettivi?
R. Tanti i cambiamenti in corso. Abbiamo iniziato dallo statuto, era fermo dal 2001, e lo abbiamo modificato meno un mese fa, in giugno. Prossimamente discuteremo su aspetti tecnici della vinificazione e della introduzione della tipologia spumante, rosati e vendemmie tardive. Vorremmo che le modifiche sulle quali stiamo lavorando intervenissero sin dalla vendemmia 2020. Poi, vorremmo che CDA sia il più ampio possibile in modo da ottenere massima collaborazione da parte di tutti. Adesso ci sono, Giuseppe Tasca d’Almerita, per Sallier de La Tour, Vincenzo Pollara di Principe di Corleone, Massimo de Gregorio di Sirignano e Giovanni Randazzo di cantina sociale Alto Belice. Hanno dato la propria disponibilità e già intervengono Benedetto Alessandro di Alessandro di Camporeale e Marco Sferlazzo di Porta del Vento.

FP