Estero: il successo del vino italiano dipende dai ristoranti. E il gusto omologato sta finendo

 

Perché il vino italiano ha così tanto successo all’estero? Soprattutto negli USA? La risposta, a pensarci, è a portata di mano e per capire meglio bisogna partire dai fatti. Per quanto riguarda gli USA, il “focolaio” è certamente New York, una interpretazione su questa realtà ce la da Jeff Porter, beverage director di una catena di 25 locali, la Batali & Bastianich Ospitalità Group. Racconta: “Il vino italiano, ovunque negli Stati Uniti, è una componente chiave della tavola. Gli USA sono da molto tempo uno dei Paesi consumatori di riferimento, anche grazie alla spinta del turismo, che ha consentito a persone di New York, Pittsburgh, Dallas, Los Angeles di conoscere l’Italia. Gli americani, del resto, amano immergersi nella cultura del Belpaese, senza dimenticare che sono molti gli immigrati italiani, e che sono diventati una parte consistente della quotidianità statunitense”.

La crescita del vino italiano è partita, non a caso, da New York, perché la Grande Mela offre una porta d’accesso privilegiata anche ai piccoli produttori. Da lì, il movimento si è esteso a Los Angeles e poi al resto del Paese. Un altro elemento chiave di questa crescita è il Wine & Spirits Education Trust, che ha accelerato la conoscenza della produzione italiana tra i professionisti americani del vino, e questo non solo nelle coste, ma anche in Texas, in Illinois, in Wyoming, in Kansas, praticamente in ogni angolo del Paese, anche grazie alle nuove tecnologie e ad internet. Ciò che mi aspetto adesso è che il consumatore vada al ristorante o in enoteca con le idee chiare su che vino chiedere, o almeno su un determinato territorio. Anche perché, la tendenza a fare vini dal gusto omologato sta morendo, e giustamente: non voglio un vino italiano con lo stesso sapore di un vino della California, non ha senso. Ci sono cantine che per molto tempo hanno tentato di fare con il Sangiovese vini simili ai Bordeaux, ma perché? È bello vedere gente che sa riconoscere ed apprezzare il Barolo, il Barbaresco, i vini toscani e quelli pugliesi, come il Nero di Troia”.

L’intuizione è dunque quella che nuova spinta arriverà dai vini più antichi e tradizionali. Gli appassionati non possono andare in Italia tutte le volte che vogliono, ma possono fare un piccolo viaggio grazie agli aromi e all’atmosfera che un vino può creare.

Penso che tutte e venti le Regioni italiane abbiano l’opportunità di essere rappresentate negli Stati Uniti, chiaramente i produttori devono metterci del loro, con il giusto mix di tradizione e tecnologia, verso vini sempre migliori, perché grazie al miglioramento della logistica è possibile spedire il vino ovunque, e far conoscere ai consumatori le tante varietà che esistono: dieci anni fa non avrei potuto sapere che esiste il Ruchè, nemmeno a New York! Ed è questo il bello di ciò che i vini italiani hanno da offrire: sono unici! Gli americani adorano il cibo italiano – conclude il beverage director – e ora hanno anche i vini giusti per accompagnare ogni piatto: con le orecchiette con salsiccia e cima di rape, meglio un Nero di Troia, se mangiamo vitello tonnato berremo un Arneis, e questi abbinamenti oggi li puoi fare anche negli Stati Uniti, ed è fantastico”.

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