Filicudi, Alicudi e la Macchina del Tempo

 

Esistono luoghi dove il tempo si ferma e ne esistono altri dove sembra andare indietro. Non è che parti con un’età e ritorni più giovane, almeno non fisicamente. È certo però che la sensazione di benessere e di leggerezza di pensiero che si ottengono sono il dono più prezioso e terapeutico che la natura può concedere nel trascorrere pochi giorni nelle più lontane e meno contaminate tra le Isole Eolie.

Filicudi e Alicudi, al netto dei relativamente pochi autoctoni, sono la casa di tanti che hanno scelto di diventare eoliani, restando irrimediabilmente ammagliati nella rete di chìddi i fòra(quelli di fuori). Una condanna che deve subire colui o colei che, magari da 40 anni, risiede stanziale su una di queste due terre emerse ma è macchiato del peccato originale di essere nato altrove.

A questi si sono uniti i tanti che hanno scelto di approfittare della loro residenza, fino ad oggi fittizia, rendendola reale per le esigenze di un quanto mai adeguato isolamento da pandemia.

Passeggiando per i sentieri di Filicudi, manutenuti in inverno dagli stessi abitanti, si possono incontrare persone che sono, in realtà, dei veri e propri personaggi: principesse afgane, fotografe della “Milano da Bere”, ma anche attori, attrici, eremiti, geometri delle linee morbide, architetti paesaggisti e mobilieri del bel design italico.

Rudy Brugnoli

Ed è proprio da quest’ultimo che cominceremo, Rudy Brugnoli, artigiano mobiliere in Cantù, nonché ex cestista di Serie A nella storica squadra di basket della produttiva cittadina brianzola. Una vita divisa fra i canestri e l’impresa di famiglia che il papà Spartaco Brugnoli aveva portato ai vertici del design italiano producendo mobili, tra gli altri, per Giò Ponti e Ico Parisi, in occasione della mostra selettiva del 1971 a Cantù, finendo con un pezzo al M.O.M.A. di New York.

La sua prima volta sull’isola nel 1980, passando dalla sicurezza dell’ “Hotel Phoenicusa” (nome greco dell’isola) ad una casa in affitto nella più assolata “Pecorini a Mare”. Un accordo per dodici posti letto, che lo portarono a sbilanciarsi con qualche invito in più agli amici più cari. Fu lì che venne a tu per tu con il concetto di eolianità, quando scoprì che quei dodici posti erano in realtà divisi in due stanze e mezzo.

 

La casa di Rudy è un luogo magico affacciato sul mare, come la maggior parte delle abitazioni che scendono sul pendio sovrastante il molo di Pecorini a Mare, frastagliato di muretti a secco.

 

I suoi colori sono quelli del mare, con il bianco della spuma delle onde e le diverse gradazioni del blu che si distinguono da questa “plancia di comando” che guarda la costa nord della Sicilia dalla sua esposizione a Sud Ovest.

Ad affiancare Rudy nelle scelte di vita c’è la compagna Daniela Tagliasacchi, comasca d’origine e attuale fiduciaria della condotta Slow Food – Isole Slow Siciliane. Dal 1990 ad oggi, Filicudi è il loro quotidiano rifugio dal mondo.

Come tutti chìddi i fòra, Rudy non ha perso né l’accento né la cadenza delle sue zone, mantenendo anche il gusto delle cose che piacciono a lui. I vini del nord sono una di queste: grande amante delle bollicine, le sue scorte spaziano dal Prosecco Classico al Desgroppante, sino al cesenatissimo “Pignoletto”, con cui veniamo accolti per un brindisi alla vita e alla buona salute, apprezzandone la freschezza, la spinta minerale ed un bouquet di profumi freschi e misurati, adeguati alla giovane età e alla fattura di questo petillant.

L’approvvigionamento di ogni tipo, vino incluso, sull’isola è impresa ardua, tale che alcuni vettori consegnino in oltre sette giorni.

La salvezza rimane la “Putìa” (bottega di generi alimentari), l’unica dell’isola. Qui il battesimo ai forestieri è dato dalla Sig.ra Maria, che con “ruvida” circospezione accoglie con un inequivocabile: “E tu cu sì?” (E tu chi sei?).

Decidiamo di fare una passeggiata risalendo verso il Timpòne, zona di scollinamento e primo bivio carrabile dell’isola.

Gianni, un amico, a Villa La Rosa

A “Villa La Rosa”, conosciamo Stefano Rando, sorridente titolare dell’unico Bar, Pizzeria, Ristorante, B&B, che può anche diventare all’occorrenza: salumeria, panificio e quant’altro serva al momento. Il locale a tuttotondo resta pionieristicamente aperto per garantire un punto di ritrovo/ristoro/accoglienza a chi vive o decide di vivere l’isola, anche solo per un giorno.

Proseguendo la nostra passeggiata tra le case altrui, lungo il sentiero alternativo alla strada che arriva sino a punta Stimpagnato, si possono notare gli sforzi che gli insediamenti dei primi abitanti dell’isola hanno impiegato nei villaggi di “Filo Braccio” e “Capo Graziano”. Due distinti periodi in cui sono chiari i segni di un primo trasferimento in posizione meno strategica e difendibile lungo la costa, e di un secondo arrampicato come una roccaforte da cui tenere l’intero arcipelago sotto controllo. È infatti, contro ogni immaginazione, totalmente agricola la vocazione dei primi insediamenti del secondo millennio a.C., come testimoniano le tante terrazze, oggi chiamate “lenze”, che venivano ricavate attraverso la costruzione di muretti a secco che oggi sono patrimonio Unesco, riuscendo a strappare terra coltivabile all’isola.

Proseguendo il giro ci si imbatte in rigogliosi cespugli di specie edibili come biete selvatiche, rapùddi (cime di rapa), negli odori inebrianti di nepitèdda (mentuccia), finocchietto selvatici, funghi e asparagi selvatici come se nessuno fosse passato da giorni. Ed è sul sentiero che porta al belvedere su Alicudi e lo scoglio della Canna che incontriamo l’architetto paesaggista Clare Littlewood, che scopre Filicudi a metà degli anni ’70, dopo aver vissuto la propria infanzia nel centro Africa. Dopo una carriera da docente universitario nelle facoltà di Pavia e Milano, decide di trasferirsi sull’isola, dapprima per la stagione estiva, e negli ultimi anni in maniera stanziale, nella casa che acquistò con suo marito nel 1974, risolvendo (a suo dire) l’atavico mal d’Africa che gli era rimasto dentro.

Clare continua a regalare consigli a tutti coloro i quali approfittano delle sue competenze, collaborando anche con la scuola di Filicudi e portando avanti piccoli progetti per aiutare i piccoli dell’isola ad imparare le lingue straniere.

La mattina successiva scegliamo dolosamente la nave, piuttosto che il veloce e meno romantico aliscafo: siamo i soli passeggeri. Noi e un divano, alla volta della lontana Alicudi, l’antica “Ericusa”.

Silvio Taranto con la moglie Gabriella

L’arrivo a ora di pranzo è “telefonato”, visto che siamo stati invitati a casa del terzo personaggio del nostro racconto, l’inossidabile Silvio Taranto.

Silvio è nato ad Alicudi e per tutti coloro che frequentano l’isola, la stessa si identifica con la sua presenza, la sua disponibilità, la sua memoria storica. Pescatore di grande tradizione familiare, Silvio ci accoglie sulla sua terrazza, che ospita spesso i “forestieri” che vogliono gustare i sapori dell’isola, con i piatti sapientemente preparati dalla Sig.ra Gabriella, vero motore delle cucine di casa Taranto.

Tra una melanzana arrosto in agrodolce, rigorosamente cull’olio nuòstro(col nostro olio), ai rapùddiche avevano congelato nel periodo in cui erano ancora teneri, Silvio dispensa storie e sorrisi, visto che, per una volta almeno, il menù non prevede piatti di pesce alla brace, la cui cottura spetta rigorosamente a lui, seguendo la stagionalità delle catture e la taglia minima garantita dall’utilizzo di attrezzi con maglia maggiorata.

Oggi il secondo è un bello càpro(capretto) selvatico in umido, cucinato nel tegame dopo essere stato marinato con il succo di due belle arance dell’albero e qualche foglia di alloro dell’orto, con contaminazione culinaria di curcuma e paprika. Alla domanda “Come mai questi ingredienti?”, vengono giustificati con una risposta quanto mai professionale: “E perché quànnu non c’è nùddu, yò sperimento!”(E perché quando non c’è nessuno, io sperimento), unendo le intoccabili certezze della cucina familiare all’innovazione e alle migliorie apportate col gusto personale.

Per un piatto così importante, in cui il grasso ha uno stemperato gusto di sarbàggiu(selvaggio), quale migliore abbinamento di un vino rosso biologico dell’arcipelago. Il Tenuta Rùvoli 2016 è prodotto a Salina dall’azienda agro-biologica Salvatore d’Amico, su terreno vulcanico, con uve di nerello mascalese 50%, nerello cappuccio 40%, corinto nero ed altre uve autoctone 10%. Il mosto resta con le sue bucce per circa 60 ore e successivamente in botti di rovere (tonneau) per circa sei mesi a cui seguono altri quattro mesi in bottiglia. Per apprezzare il bouquet di questo rosso a 14% è bene far ossigenare almeno 30 minuti prima della degustazione. La parte olfattiva passano dalla mora alla ciliegia. Lunga e gradevole la persistenza, dopo qualche minuto perde gli eccessi così come i ricordi di cantina. Piacevolissimo il corpo, chiude morbido e in bocca resta il miglior ricordo.

Alzarsi da tavola e raccogliere un’arancia amara, mentre cenni di consumismo si materializzano in una bottiglia di “Amaro del Capo”, da accompagnare alle “chiacchiere” (frappe) home-made, è il culmine di una condizione dove siamo riusciti a non pensare a nulla di ciò da cui abbiamo deciso di scappare.

Per tornare fruiamo dell’ultima corsa dell’aliscafo, che in inverno sono solo due, con la malinconia di non aver deciso di perderlo anche questa volta, ma con la certezza che torneremo, come può fare chiunque abbia voglia di trascorrere qualche ora lontano dalla frenesia e da qualsiasi tipo di scadenza, se non quella dell’orario di partenza. La nostra ultima mattina a Filicudi non può prescindere da un salto a Pecorini a Mare. La vita ed il brusìo del Saloon in estate sono sostituiti da un assordante sciabordio delle onde che s’infrangono sulla battigia.

Lo scalo d’alaggio, trasformato in piazzetta durante la stagione, è libero da qualsivoglia sit-in radical chic o freak. La strada verso il “lido”, realizzato in un piazzale sotto la scogliera, torna ad avere la sua funzione di sentiero verso una delle viste più belle dell’isola.

L’abbiamo vissuta anche d’estate, violentata dalla massa in cerca della vacanza alternativa, ma diventa magica d’inverno agli occhi di chi può godere della sua veste reale, quotidiana. Quella che riesce a fermare il tempo e, qualche volta, a farlo regredire finché serve. Finché ne abbiamo bisogno.

Tornare a casa rigenerati, dalla permanenza e dall’evoluzione positiva all’interno di una dimensione di estremo privilegio, è il giusto epilogo. La soluzione in molti casi non è scappare ma prendersi le giuste pause, attraverso luoghi e persone che ci rimettano in pace col mondo.

Luoghi non lontani ore di aereo, ma prossimi e contenuti in ciò che crediamo.

di Marco Miuccio

 

Riferimenti:

Hotel Phoenicusa
Isola di Filicudi, Via Porto, 7 – 98050 Filicudi
tel. 090 988 9946

Villa La Rosa – Stefano Rando
Via Rosa n°24 – 98050 – Filicudi
cell. 345 0321571

Silvio Taranto – Alicudi
20° scalino – Accanto all’ufficio postale
cell. 345 9854034


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