Sicilia, metà-fine ‘800. Antonio Mendola, nobiluomo di Favara, letterato, politico, possidente, ampelografo e amante del vino, è in rapporti con il mondo imprenditoriale siciliano. La situazione è la seguente: l’isola si è trasformata in meno di un secolo in uno dei luoghi più all’avanguardia d’Europa. La produzione industriale, di materie prime, di design, di architettura e di idee è ai massimi livelli. L’innovazione coinvolge in ogni strato sociale, dal manovale al pescatore, all’agricoltore, al politico, e si espande a macchia d’olio in tutto il Sud Italia. Questo insolito e fortunato fiorire di ricchezze ha, quale origine, un vino, in particolare il vino perpetuo delle contrade presso la cittadina di Marsala. Ottenuto principalmente da inzolia e catarratto, opportunamente irrobustito con dell’alcol, viaggia e raggiunge ogni angolo del globo. È un prodotto prezioso, unico, facilmente commerciabile.
Immagino i pensieri del barone di Favara e quelli dei suoi compagni di fumo: la Sicilia è avanti a tutti e a tutto. I suoi amici industriali, spinti dai successi del vino siciliano, sono tra gli imprenditori più ricchi d’Europa. Qualcuno di loro sostiene persino la sua passione per l’archeologia, compra isole nello Stagnone e trasferisce i residenti altrove (rif. Isola di Mozia e Giuseppe Whitaker). Il vantaggio è dunque fondamentale e innovare il prodotto, oramai conosciuto in tutto il mondo con il nome di “Marsala”, è una tattica opportuna e lungimirante. Se ne studiano i pregi e i difetti, ci si confronta con i migliori ampelografi d’Europa, si sperimentano nuove varietà che possano rendere questo vino ancora più desiderabile e straordinario. Nell’autunno del 1874, Mendola – che in tutto questo aveva già collezionato e catalogato oltre 4.000 vitigni provenienti da tutto il mondo – scrive ad un suo amico di Gattinara:
“seme di Catarratto bianco fecondato artificialmente col Zibibbo nella fioritura del 1869 nel mio vigneto Piana dei Peri presso Favara; raccolto il 27 agosto dello stesso anno; seminato in vaso a 3 marzo 1870 e nato verso il 20 maggio. Nel 1871 osservando nel vaso 105 una piantolina ben distinguersi tra le molte sue consorelle per vigore e colore delle foglie e più per tormento trassi una piccola mazza e la innestai nel febbraio 1872 sopra un robusto ceppo di Inzolia nera onde affrettare la fruttificazione e così ebbi il piacere di gustarne i primi grappoli nell’autunno 1874”.
Et voilà, ecco sfornato dal nostro barone agrigentino il Grillo, il candidato POST BRITISH (gli inglesi sono arrivati a metà settecento e ormai stanno cedendo il posto ai siciliani) per il nuovo Marsala. “Ariddu” per i viticultori locali, forse a sua volta legato alla parola latina “arillum” (seme), nel vitigno in questione un singolo vinacciolo. Forte per il carattere del Catarratto, gentile e profumato per il carattere del Moscatellone Giallo di Alessandria, anzi, Zibibbo, è quanto di meglio l’isola possa offrire dentro il bicchiere di vino Marsala. Ma a fianco della piantina selezionata dal Mendola, ce ne sono tante altre, figlie dello stesso padre, ma con personalità leggermente diverse. Alcune sono più potenti e mielate, altre raggiungono difficilmente la maturazione e risultano acide, verdi al naso, quasi fossero un peperone crudo e ricordano alcuni Sauvignon della Loira. Capita alle grandi famiglie.
Sicilia, 2021. A 147 anni dopo la sua nascita il “Grillo”, nome di vitigno e di vino, è protetto dalla denominazione di origine controllata DOC Sicilia. I vini ottenuti da questo vitigno possono esibirne il nome solo se certificati ed entro il disciplinare della denominazione. Nel mentre, il vino Marsala, quello fortificato, ha subito brutti scossoni. Le abitudini sono cambiate: i vini da fine pasto, da meditazione, da fumo o quelli del “pomeriggio”, sono debolmente considerati. Il Perpetuo, vino della festa conservato per grandi battesimi e matrimoni delle famiglie trapanesi, è scivolato tra le pieghe della modernità ed è visto quasi come impaccio.
Il Grillo, però, salta e vibra oggi più che mai. Ha voglia di emergere, di vivere la sua giovane vita tra le tavole del quotidiano, dei winebar, dei bistrò, degli stellati e delle osterie contemporanee. La sua anima, fresca e gioviale, trova un nuovo palcoscenico. Ideale per una minestra di aragosta, una parmigiana di melanzane o un’arancina allo zafferano, si propone oggi – 27 ottobre 2021 a Villa Igiea – ad un parterre di giornalisti europei e italiani in giacca blu, di lino, ma senza cravatta.
Di seguito alcune note di degustazione redatte durante la grande degustazione curata dal Consorzio di Tutela DOC Sicilia. Una introduzione esaustiva sul vitigno è stata offerta alla Stampa presente dalla enologa Lorenza Scianna.
FP
La degustazione
di Caterina Lo Casto
Prima parte
Ogni Grillo assaggiato, come ogni vino vivo che entra in contatto con i sensi, dimostra una sua autonomia interiore, spesso capace di esprimere molto di più di quello che tecnicamente il vitigno e il territorio possono dirci. Cercheremo qui di recuperare le sensazioni e di raccontare alcuni Grillo Sicilia DOC.
Acacia 2020 di Colosi nasce nella zona di Marsala. Vendemmiato durante la seconda decade di settembre, affinato per 3 mesi in acciaio e poi per altri 4 mesi in tonneaux, si mostra vellutato e rotondo, pieno di garbo. Al naso arrivano frutti maturi, mela e pera, ma anche agrumi e fico d’india, a definire luogo e origine inequivocabili. Fresco e armonioso all’assaggio.
Grillo 2020 di Gaglio Vignaioli ha origine nella zona di Olivieri-Scala di Patti, Messina. Vendemmia a fine agosto, fermentazione in acciaio e affinamento in bottiglia lo rendono bilanciato, sia nei profumi che negli aromi. La sua buona acidità e freschezza sorprendono.
Con il Grillo 2020 di Masseria del Feudo ci spostiamo verso Caltanissetta. Il suolo calcareo, la raccolta nella seconda decade di agosto e l’affinamento sui lieviti per 6 mesi prima dell’imbottigliamento insieme danno vita a un prodotto con una certa complessità aromatica: viaggio tra fiori e agrumi, ma anche leggere spezie, pepe e frutti rossi aciduli. Al palato contrastano dolcezza e acidità.
Diamanti 2020 di Principi di Butera nasce nella zona di Butera. Macchia mediterranea e mineralità del suolo lo contraddistinguono. Al naso si percepiscono agrumi fragranti e mentolo leggero, al sorso una buona mineralità e una acidità lieve. Un vino che potrebbe dirci cose belle, nel tempo.
Lalùci 2020 di Baglio Del Cristo di Campobello è un salto nella Sicilia orientale. Vinificato totalmente in acciaio, attira per la sua integrità. Al naso fiori bianchi di zagara, frutta acidula e macchia. In bocca è soddisfacente e rotondo, senza perdere le note fresche.
Fileno 2020 di CVA di Canicattì parla di Naro e dell’agrigentino. La struttura limosa e argillosa del suolo, la ricchezza di potassio dello stesso, l’assenza di malolattica, l’affinamento in acciaio e poi in bottiglia, apportano grande personalità che si traduce in aromi e sentori che irrompono nel naso, fiori bianchi e frutti tropicali. Al sorso ha un discreto equilibrio, dato dalla mineralità.
Helios 2020 Di Giovanna ha origine a Sambuca di Sicilia, a 830 metri sul mare. Terreno calcareo, altitudine, affinamento in tonneau francesi e in acciaio, si esprimono in un vino equilibrato e vivace. Il quadro olfattivo è ricco, pesca e albicocca arrivano subito al naso, mentre al gusto è complesso, lungo e rinfrescante.
Terebinto 2020 di Planeta è un grillo che porta la camicia bianca. Nasce nel comune di Menfi, i suoli in cui si nutre sono argillosi e calcarei. La vendemmia durante la prima settimana di settembre, la fermentazione e l’affinamento in acciaio contribuiscono a creare un prodotto che è ottima espressione di quel territorio. Il naso è ricco e sontuoso, pesche, nespole, miele che riempiono le narici; il sorso piacevolmente rinfrescante, stimola la salivazione.
Vigna di Mandranova 2020 di Alessandro di Camporeale si distingue per l’eleganza senza fronzoli. Dalle vigne coltivate nella contrada di Mandranova, dove suoli argillosi e buona esposizione fanno gioco forza, nasce un vino armonioso che affina 6 mei in acciaio. All’olfatto è ricco, di note agrumate, mango e passione fruit; all’assaggio è molto minerale, ma anche fresco e persistente.
Shamaris Tenuta Monte Pietroso 2020 di Cusumano prende vita sulle colline di Monreale, delle quali è vivida espressione. Vinificato in acciaio e affinato in bottiglia, è avvolgente e floreale. All’olfatto è intenso e ricco di fragranze fiorite, mentre al gusto è rotondo, con un retronasale di frutti gialli.
Il Grillo 2020 di Feudo Disisa nasce e cresce a Grisì, Monreale. Dal terroir di cui si sostanzia si riempie di fragranze di frutta matura. Maturazione di 6 mesi in acciaio e affinamento in bottiglia mantengono inalterato il profilo olfattivo, che è energia prorompente. Il sorso è pieno e avvolgente.
CLC