Il rispetto della… Norma

 

Il nostro ordinamento giuridico indica nel Codice di Procedura Penale la corretta esecuzione delle disposizioni previste. La loro osservanza, il rispetto della Norma, dovrebbe essere scevra da interpretazione. Ma in Sicilia, dove i rapporti umani sono barocchi come le pietanze, l’unica Norma rispettata è quella con le melanzane fritte.

Alla stessa stregua dell’irrisolvibile diatriba tra arancino e arancina, escludendo il pomodoro e il basilico fresco, l’oggetto del contendere si sposta sul tipo di ricotta da utilizzare. La storia porta a Catania, qui il rigatone la fa da padrone, dove l’origine della Norma è un esplicito riferimento all’omonima opera di Vincenzo Bellini.

Sono almeno due le versioni della storia di questo piatto. La prima, a dare il nome alla ricetta sarebbe stato il commediografo siciliano Nino Martoglio che davanti ad un piatto di pasta così condito avrebbe esclamato “È una Norma!” ad indicarne la suprema bontà e paragonandola alla celebre opera. La seconda, a maggior giustificazione della dedica, la ricetta sarebbe stata perfezionata, reinterpretata e messa a punto sulla base della cucina tradizionale da uno chef siciliano proprio in occasione delle celebrazioni per la nuova opera lirica del grande compositore catanese.

La Norma 3D dello chef Pasquale Caliri

La ricetta originale prevede l’utilizzo della ricotta salata, che rende il piatto decisamente sapido. Le esigenze territoriali, il campanilismo e la voglia di avallare la propria tesi quale verità assoluta ed incontrovertibile, tipica dei Siciliani, al grido di “a mèi è mègghiu” (la mia è meglio), unitamente alla disperata esigenza non richiesta di innovazione che si respira nella nuova cucina italiana, hanno fatto nascere diverse varianti del tema.

Nel messinese la ricotta salata è stata sostituita dalla ricotta infornata, nella sua versione semi-stagionata, che rende il piatto più dolce, con la scelta del formato di pasta che cade sul maccheroncino fresco.

Il palermitano, che tiene alla sua posizione di rottura nei confronti della massa, predilige l’onnipresente anelletto e lo utilizza nella più classica delle preparazioni, il timballo. Fodera lo stampo con fette di melanzane fritte per un effetto scenografico anni ’80 dal sapore nostalgico, addizionando il tutto con elementi che trasudino opulenza (uovo, prosciutto, mattoni forati, etc.).

il cannolo alla Norma di Balice

Andando oltre, la nuova cucina gourmet ci regala variazioni del tema che non corrispondono sempre a grandi risultati gastronomici, ma più a delle opinabili operazioni di marketing. Ne citiamo due su tutte: la prima, servita come amuse bouche, è il “Cannolo alla Norma” dello chef Giacomo Caravello del ristorante Balìce di Milazzo. È composto da una sottile cialda realizzata con un mix di grani antichi. Al suo interno una mousse di ricotta infornata e della salsa di pomodoro; la seconda, la “Norma 3D” dell’eclettico chef Pasquale Caliri del ristorante Marina del Nettuno Yachting Club a Messina. È il risultato di un progetto di recupero legato all’associazione “Ambasciatori del Gusto”, insieme al bakery-chef Francesco Arena ed al pasticciere Lillo Freni, con lo zampino del produttore di miele di Ape Nera Sicula (presìdio Slow Food) Giacomo Emanuele. I terreni incolti a Galati Mamertino (Me) sono utilizzati per la coltivazione di grani antichi, con cui lo chef realizza la sfoglia ripiena di mousse di ricotta e melanzane, poi adagiata su uno specchio di pomodoro.

A questo piatto rappresentativo della Sicilia associamo un vino che è il prodotto dei sogni di un Siciliano, il cavalier Francesco Tornatore, un uomo dal fascino d’altri tempi. Tra le etichette di questa azienda, la selezione ricade sull’Etna Rosso, Trimarchisa 2016, a cui la guida ai Vino d’Italia di Gambero Rosso ha assegnato i “Tre Bicchieri”. Trattasi di un blend di Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio, gli autoctoni rossi dell’Etna.

Trimarchisa, presso la frazione di Verzella (Castiglione di Sicilia), è la contrada dove risiedono queste vigne; l’età è di 40 anni circa. I suoli sono lavici con sedimenti calcarei. Le fasi di lavorazione prevedono una fermentazione in tini tronco-conici di legno, e un affinamento di 18 mesi in botti di legno e vasche di cemento.

Il profumo è intenso e speziato, adatto al carattere del piatto che, come riferitoci dallo stesso Cavaliere in un nostro incontro eoliano, è “come la fa mia moglie” (!). Qui la scheda in pdf.

In conclusione, tra tutte le versioni possibili della Norma – come la migliore tradizione vuole – la migliore è “chìdda i mò mà” (quella di mia madre), quella che ogni maschio siculo continua a ripetere alla moglie, puntualmente ribattuta con un “e vattìlla a manciàri ddà” (vai pure a mangiarla lì).

Una sola regola differenzierà la “Norma” da una pasta al pomodoro con le melanzane, come scriveva un anonimo Siciliano: “… regole ferme per far questo piatto, ma solo una è legge di fatto, ed ogni dubbio adesso ti fugo, che l’olio fritto va dritto nel sugo…”

di Marco Miuccio


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