Il Sale a Catania: ristorazione come esperienza

 

Un ristorante che diventa un contenitore di esperienze, un format che si apre all’innovazione. Massimiliano Lauricella e Giuseppe Motta, proprietari ristorante-pizzeria Il Sale, nel cuore di Via Santa Filomena, il food district catanese, raccontano i cambiamenti nella ristorazione, quale traiettoria segue l’evoluzione e il ricambio generazionale nell’imprenditoria del capoluogo etneo. Non solo cibo, Massimiliano e Giuseppe hanno creato un modello aziendale che punta alla sostenibilità sociale e a un progetto di solidarietà nella città di Catania.

Quali sono stati gli elementi di continuità con la precedente proprietà e quelli che invece vi hanno portato a sviluppare nuovi concetti?
Io e il mio socio Giuseppe Motta, abbiamo voluto rispettare la tradizione e il lavoro fatto da Andrea Graziano e la sua famiglia ma abbiamo anche seguito una necessaria evoluzione, un cambiare pelle per poter esprimere pienamente la nostra identità. Sicuramente, la continuità è rappresentata dal nostro chef Elvio Costarelli, da sedici anni alla guida della cucina del Sale. Abbiamo voluto continuare la ricerca dei prodotti e delle materie prime del territorio iniziata da Andrea e continuiamo a valorizzare questo spazio non come un semplice ristorante ma come un luogo dove il cibo è esperienza. L’evoluzione non è solo fisiologica ma frutto della nostre idee e di un concetto di nuova identità che abbiamo voluto dare a Il Sale.


Non un semplice ristorante. Cosa è allora Il Sale?
Per i catanesi è stato il luogo della prima innovazione, delle novità, una pizzeria, una delle prime che ha portato un modo nuovo di vedere la pizza. Per noi è innanzitutto un ristorante ma interpretato in maniera moderna rispetto al classico concetto. Oggi, la ristorazione non è fatta solo di piatti ma bisogna integrare la visione del menù con quella del beverage, dell’intrattenimento e dell’esperienza. La ristorazione deve contare su questi elementi e non solo sulla cucina. L’attenzione si è poi spostata sulla materia prima mentre in passato il focus era lo chef. Il Sale oggi è un ristorante che ha diverse vocazioni e anime: il bar Iancu che ha una centralità e una identità definita, guadagnandosi uno spazio maggiore con la mixology curata dal nostro bartender Orazio Contina e un menù ad hoc, Il Sale è anche pizzeria, con una proposta di venticinque pizze classiche che puntano alle materie prime di qualità, un impasto con farina ai nove cereali e 72 ore di maturazione, molte referenze siciliane e presidi come il cavolo trunzu, il piacentino ennese.
Il ristorante va oltre l’entità di un luogo dove mangiare – con un menù di 50 proposte tra antipasti, primi piatti e secondi – e continua al piano di sopra con una sala più intima, che è il cuore dei nostri eventi. Infine, dedichiamo molta attenzione alla cantina curata dal nostro sommelier Giovanni Guglielmino che dà voce alle proposte del territorio senza rinunciare allo slancio internazionale.


Gli eventi sono un segno che vi contraddistingue. Da MeCook a Made in Catania, avete trasformato questo spazio in un contenitore che ha accolto produttori di vino, chef, e un pubblico nuovo e stimolanteMeCook è vincente perché mette insieme il vino, la cucina e il pubblico in un modo nuovo. I vignerons sono invitati a riproporre la ricetta alla quale sono più legati, il vino diventa uno strumento di dialogo e racconto. L’obiettivo è quello di promuovere un territorio, anzi, i territori. Made in Catania , invece, si apre alla nuova generazione di imprenditori e chef catanesi, sempre seguendo la nostra visione di far vivere uno spazio come un contenitore di esperienze. Siamo al lavoro con nuovi eventi legati al cartellone Me Cook ma questa volta andremo noi in vigna ad incontrare i produttori e porteremo la nostra cucina tra i filari.

A proposito di nuova generazione. Come vedi questo passaggio generazionale nella ristorazione?
Il cambiamento è fondamentale nella nuova generazione: non puoi più improvvisare né in cucina né in sala, né in cantina. Se prima c’era un servizio poco curato, oggi il personale deve essere formato sotto molti profili. L’idea della ristorazione non è più quella del one man show ma della squadra.
Questo significa avere una visione imprenditoriale ben precisa?
Per noi il ristorante è come un’azienda: solida, definita. Con noi lavorano 114 persone ma non ci piace parlare solo di servizi ma di valori. Il nostro modello è quello di un’azienda che pratica una sostenibilità non solo alimentare ma anche sociale, inclusività e integrazione. Da anni, seguiamo e supportiamo una casa famiglia a Catania e ogni giovedì cuciniamo per i senza tetto. I nostri ragazzi seguono un percorso di formazione, integrazione e creiamo un forte senso di appartenenza attraverso attività di team building, leadership, formazione, premi, obiettivi.


Perché si parla di crisi di fine dining?
Quel modello non è più sostenibile da solo. E lo dimostra il fatto che molti degli chef stellati hanno virato sulla formula del bistrot da affiancare al fine dining. La televisione ha accentuato l’attenzione sulla cucina, nel bene e nel male. Da un lato, c’è la cucina stellata, dall’altro c’è lo street food. Noi stiamo in mezzo con una proposta di qualità che rispetta il territorio e la materia prima. E rispetta il cliente, con un prezzo corretto, ingredienti del territorio, una cucina circolare che punta a zero sprechi e a riutilizzare gli ingredienti in diversi abbinamenti.

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