La cena informale e altre storie

 

Fin dai miei corti di finzione negli anni ’90 il cibo, le tavole imbandite, il vino, sono stati sempre presenti. In “Un Sogno di Lumaca”, con cui vinsi il 2° Premio Spazio Italia al Torino Film Festival nel 1995, la lite tra due fratelli per la robba si svolgeva nella loro vigna e davanti a un rudere.

Ludovico Caldarera e Giuseppe Ribaudo in "Un sogno di lumaca"

Ludovico Caldarera e Giuseppe Ribaudo in “Un sogno di lumaca”

I due si acchiappavano a legnate tra le file di viti e le pietre della casa di campagna di famiglia ormai distrutta, al cui interno un tempo sicuramente erano immancabili un pezzo di formaggio e un fiasco di vino prodotto proprio in quel luogo. In effetti girai quella scena nella vigna della mia famiglia e quel rudere era propr io ridotto così per via di liti familiari. In questo caso si potrebbe dire che il cinema a volte ha la capacità di trasformare l’acqua in vino.

 

Terra madre Miriam Palma

Miriam Palma in “Terra Madre”

Nel secondo film “Terra Madre. La Leggenda della Diversità” accadde un fatto che sa di magico. In una campagna infinita e rada, una donna, Miriam Palma, vestita “stile impero” come lei stessa affermava, usciva da una casupola con un melone giallo in mano e lo porgeva a suo marito, Maurizio Majorana, che poi lo cominciava a tagliare a spicchi per arrifriscarsi la bocca dalla calura estiva. Miriam Palma per quella ripresa mi chiese come doveva tenere quel melone in mano e io le risposi “come un bambino”. Nove mesi dopo nella realtà puntualmente nacque suo figlio.

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Vito Gaiezza

Poi venne la volta de “La Cena Informale” con Vincent Schiavelli, film che si svolgeva per lo più con quattro persone attorno a una tavola. Feci quel corto in onore di Vincent, che interpretava un siculo americano che tornava in Sicilia e come un deus ex machina risolveva una lite per soldi tra due suoi amici, cucinando degli anelletti a forno, dopo aver inopportunamente proposto una pasta coi broccoli arriminati. Guido Baragli e Beppe Fontana interpretavano le parti dei due amici che avevano il contenzioso e il terzo era Vito Gaiezza, un attore naturale che nella realtà è un grande maestro d’organo e musicista.

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Abi, Beppe Fontana

Beppe, Abi nel film (come il codice bancario), aveva prestato dei soldi a Guido, un pittore squattrinato che avrebbe dovuto fare una mostra e invece se ne era andato due anni in India a meditare. Quando Vincent parla di ditaleddi cu vrocculi arriminati ne descrive la preparazione “ci mettu i zafferanu, ci mettu le alici beddi squagghiati…e sai come si squagghianu le alici? A bagnomaria!”. La metafora si materializza subito per Abi che replica riferendosi a Guido “…e accussì sempre s’avissiru a ffari: a bagnomaria!“.

Durante la cena – in cui l’unico che continua a mangiare e bere con ingordigia mentre la discussione incalza è Vito – Guido chiede a Vincent del perché del suo ritorno in Sicilia. E Vincent risponde facendogli vedere il palmo della sua mano dentro cui si materializza l’incontro con un pastore qualche giorno prima in una campagna sperduta, a cui racconta ciò che aveva raccontato nella realtà a me giorni prima.

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Guido Baragli

Suo nonno Andrea era monsù del barone di Polizzi. Un giorno il barone gli aveva chiesto di preparare delle pietanze speciali per ospiti speciali. Andrea si arrabbiò: lui preparava sempre cose speciali. Mandò i suoi garzoni nelle campagne a catturare topolini. E cucinò, parole di Vincent, spiteddi di surci in sarsa bruna cu i piseddi. Quando il barone mandò a chiamare monsù Andrea in cucina, questi si spaventò pensando che avessero capito che cibo aveva propinato loro. Gli ospiti chiesero di che carne si trattasse: era di pollo? di coniglio? Di agnello? E il barone stesso gli chiese che carne e che pietanza così prelibata fosse quella. Andrea rispose – come per un ready made duchampiano – “Veramente signor barone, era la mano mia!”, cioè era stata la mano del maestro, dello chef, a fare il piatto.

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Vincent Schiavelli e Ludovico Caldarera

Tempo dopo io e Vincent eravamo a pranzo in una trattoria di Polizzi Generosa e in un tavolo accanto a noi era seduta Elvira Sellerio con una sua cara amica. Ci avvicinammo e presentai Vincent. Dopo un po’ chiesi a Vincent di raccontare loro la storia di suo nonno Andrea. E con grande stupore alla fine del racconto scoprimmo che l’amica della Sellerio era la nipote del barone! Ci fu un attimo di silenzio, poi lei scoppiò a ridere e tutti la seguimmo.

Da quell’incontro scaturì l’idea di pubblicare in Italia, edito da Sellerio, “Brucculinu America”, il libro di racconti e ricette che Vincent Schiavelli aveva pubblicato anni prima negli States. Certe volte un film e un incontro a tavola, tra un bicchiere di vino e l’altro, portano a un libro, altre volte avviene il contrario ed è sempre bello quando tutto questo accade.

Fin dai tempi in cui Nino Gianfisco e Santo Lipani, i suoi amici di Polizzi, andavano a trovarlo a Los Angeles, si susseguivano le storie legate alle avventure culinarie di Vincent Schiavelli. Come quella che Vincent, che per un certo periodo cucinava una cena per sessanta persone ogni giovedì in un ristorante, andò con Nino e Santo a raccogliere finocchietti selvatici in una zona fuori Los Angeles per cucinare la pasta con le sarde! Ma vi pare che uno che sta a Hollywood la prima cosa che pensa è la pasta con le sarde? L’immaginario di Vincent era intriso e sprizzava Sicilia da tutti i lati. Per questo motivo e per avere incontrato la sua compagna siciliana, Katia Vitale, si trasferì da Hollywood a Polizzi. Vincent aveva così coronato il suo sogno, chiudendo il cerchio di una storia di famiglia iniziata con la partenza per New York di suo nonno Andrea, il monsù, nei primi del ‘900, fino al suo viaggio al contrario verso la Sicilia negli anni 2000, dove ritrovò i sapori, i vini, i cibi, i profumi, che in parte gli aveva fatto conoscere il nonno. E soprattutto i rapporti umani, molto diversi da quelli che aveva vissuto in America negli anni più intensi del suo lavoro di attore.

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Vincent Schiavelli alla ricerca delle radici

Una storia strana ma non troppo, visto che Vincent in Sicilia ci ha vissuto proprio come voleva lui. Vincent era venuto alla ricerca delle sue radici sia nel mio film “La cena Informale” che ancor più nella realtà. E nel film ironicamente ne mostra una strappata dalle zolle di terra, dicendo: “queste sono le radici che io stavo cercando! Chisti su chiddi buoni per fare ‘u sucu!”. Poi risolve la diatriba economica tra i suoi amici e con il suo sorriso si congeda pronunciando il saluto che gli piaceva di più: “Tanti beddi cosi!”.

di Salvo Cuccia

 

 

L'analisi del regista Salvo Cuccia

Il regista Salvo Cuccia

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