La Sicilia vista da Emiliano Falsini (seconda parte). Il centro Sicilia, il Mamertino, la sorpresa

 

Continua l’intervista di Daniel Thomases all’enologo toscano Emiliano Falsini sulla Sicilia del vino. Leggi qui la prima parte.

 


(seconda parte)

D. Ha avuto anche la possibilità di lavorare in zone più “Classiche” per le principali varietà siciliane?

R. Sì, alla Masseria del Feudo di Caltanissetta, dove la mia collaborazione con i proprietari è iniziata più recentemente, nel 2013. L’azienda fu fondata più di un secolo fa, nel 1906, su una parte del feudo dei principi Braciforti. Quando sono arrivato già si faceva vino di buon livello, ed è sempre un piacere. Alle volte quando inizio un nuovo progetto la cantina riserva brutte sorprese, roba da metter le mani ai capelli. Qualche cambiamento ovviamente c’è stato, ma sempre nel segno di una maggiore eleganza e territorialità.

cucurullo masseria feudoCi troviamo nel centro della Sicilia, in azienda ci sono uve internazionali che hanno trovato un bell’habitat; si coltiva sia il Syrah che lo Chardonnay e i vini, da anni, hanno i loro convinti estimatori. Abbiamo alleggerito però l’impostazione, lo Chardonnay affina in botti da 25 ettolitri, non più in barrique; mentre il Syrah non vede mai il legno, utilizziamo i serbatoi di acciaio inossidabile prima dell’imbottigliamento. Ho fatto esperienze in California e nella Nuova Zelanda e non ho il benché minimo desiderio di utilizzare la Sicilia come palestra per la realizzazione di vini tipo “New World”. Lo stile non mi interessa, non mi attira, e poi non ci sono le precondizioni. Durante l’estate non si arriva mai a temperature che vanno oltre 40°C. Caltanissetta è al di sopra di 550 metri s.l.m., noi siamo ancora più a nord rispetto alla città, il clima molto sovente è piuttosto fresco e azzeccare il momento della vendemmia è una delle problematiche principali del nostro lavoro. Fortunatamente Francesco e Carolina Cucurullo tengono molto a questa azienda familiare e posso contare su un aiuto fattivo e molto sostenuto durante tutto l’anno. Per tornare ai vini dell’azienda, il Nero d’Avola è alla base del nostro lavoro con più di 40.000 bottiglie prodotte in un’annata positiva. La proposta è duplice: da un lato un vino che mira ad una grande piacevolezza di beva, molto frutto, sapido e sostenuto ma mai pesante. Ovviamente è un vino che non vede legno. Poi c’è la selezione, il Rosso delle Rose dove, grazie alla maggiore struttura e ricchezza polifenolica, possiamo utilizzare il rovere durante la fase di affinamento. Ma si tratta di botte grande; abbiamo rinunciato, e con piacere, al legno piccolo che non vedo adatto per un vino che nasce da queste uve in questa situazione climatica. Forse potrebbe funzionare altrove, ma qui sicuramente no; e non sento la mancanza delle barrique in cantina. Tuttavia, la sorpresa più grande – lo dico anche in base ad altri vini siciliani fatti con la stessa varietà – l’ho ricevuta dal Grillo, un vitigno che, da toscano, non avevo mai trattato e che non conoscevo bene; né dal punto di vista tecnico, né da quello organolettico. Ho trovato una fragranza ed un’espressività aromatica veramente notevole nei vini che ho curato e, inoltre, una bella struttura e volume. Siamo solo agli inizi con questa varietà, io ci credo fermamente.

D. Pare che la Sicilia occupi una buona parte della sua vita professionale. C’è ancora spazio per altri progetti e iniziative?

R. Fortunatamente sì. Lavoro da qualche anno in un’area un po’ dimenticata e in passato mai importante per il vino. Si tratta del paese di Librizzi ad ovest di Messina, nella DOC Mamertino, siamo ad una cinquantina di chilometri ad ovest di Messina sulle pendici dei Nebrodi. Ho detto “in passato mai importante” ma tecnicamente non è proprio vero. Nel mondo antico il Mamertinum fu ritenuto in assoluto uno dei più grandi vini, si dice anche che fosse il vino preferito da Giulio Cesare. Non è necessariamente un attestato che ne certifica la grande qualità, Napoleone Bonaparte beveva il suo Chambertin diluito con acqua! Nella nostra epoca, però, c’è poca produzione, come in generale nella provincia stessa; meno di un decimo rispetto a quella di Agrigento; meno di un cinquantesimo nei confronti di Trapani. Della DOC Mamertino possiamo solo dire che è un vino che esiste più sulla carta che nei mercati.

nicolas gatti mamertinoCiononostante ho trovato molto stimolante questo nuovo progetto, una collaborazione con l’azienda Gatti. Il titolare attuale, Nicolas Gatti Russo, proviene da una antica famiglia della zona con una proprietà terriera nella quale si coltivano non solo vigneti e oliveti, ma anche agrumeti, castagneti e noccioleti. Il vino viene prodotto nella tenuta sin dal 1825. Nicolas è cresciuto in Argentina e, rientrato in Sicilia e volendo continuare questa tradizione, piantò – piuttosto logicamente in quel momento – vitigni internazionali, come Cabernet e Merlot. Che, a proposito, vengono molto bene in questa zona. Il suolo è argillo-calcareo, a differenza della DOC Faro; dove invece ci sono terre con argilla e mica. Lavoro con queste uve in diverse parti della Italia centrale, comprese diverse zone con una riconosciuta vocazione alta per le uve bordolesi, come il Chianti Classico e Bolgheri; ma ci sono condizioni molto favorevoli pure qui nel messinese, siamo in una zona che può essere definita collina litoranea. Il comune è a 500 metri s.l.m. e, oltre questo, bisogna aggiungere la vicinanza al mare. C’è dunque un clima fresco e ventoso, quindi molta ventilazione per le vigne, un insieme di fattori indubbiamente molto positivi. Rispetto alla zona del Faro, l’umidità è più alta ma le precipitazioni minori. Il Cabernet-Merlot che produciamo ha ottimi aromi varietali, ci sono le note balsamiche, le erbe officinali e il ribes nero; non è per nulla pesante o dolciastro. L’alcool è intorno ai 14°, nulla di eccessivo se si pensa che ormai a Bordeaux  – a 1400 chilometri più al nord – arrivano facilmente ai 13,5°. Ma mi ha suscitato maggior interesse professionale, però, il Nocera, un vitigno a me totalmente sconosciuto e per nulla semplice. Il grappolo è grosso e l’acidità fissa molto elevata, ancora di più del Nero d’Avola. Una buona parte dell’acidità è quella malica, ancora più tagliente al palato. Bisogna lavorare molto in vigna, diradando per lasciare solo 4-5 grappoli per pianta, alle volte togliendo le ali per ridurre le dimensioni del grappolo, vendemmiando con il massimo ritardo. Ma vale la pena farlo perché si tratta di un’uva con una personalità decisa. Il vino è molto speziato e pepato al naso, con dei bei sapori di piccoli frutti al palato; si sposa bene con il legno grande, quello che adoperiamo ha relativamente poco tannino; i tannini aggraverebbero le difficoltà organolettiche. Un vino di carattere e personalità, dunque, inconfondibile rispetto ad altre proposte. È, cosa importante, prodotto solo qui; dunque un qualcosa che si esprime e si identifica, assieme alla Sicilia, con la zona. Per quanto riguarda i tannini dovremo affrontare il Perricone su cui abbiamo cominciato a lavorare, ma al momento preferisco tacere perché siamo proprio agli inizi e sarebbe azzardato fare dichiarazioni in merito. Qualcuno potrebbe ritenerci un po’ matti, accettare queste sfide quando i vini stessi saranno chiaramente di nicchia? Ma è proprio per questo che dobbiamo raccogliere il guanto. Saranno vini insoliti e inimitabili, prodotti che esistono e potranno esistere solo in pochi posti, “territoriali” nel  senso migliore del termine.

Ed è anche per questo che la Sicilia mi attira: mi dà la possibilità di uscire dalla routine e partecipare nella creazione di cose diverse, uniche. Per cui sono contento di poter esprimere la mia riconoscenza verso l’isola e la sua gente.

di Daniel Thomases 

 

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