L’Alchimista, ovvero Bea(ti) coloro che vivono l’Umbria

 

Montefalco, piccola gemma medievale incastonata in una collana di borghi, simili ad occhi poco attenti ma diversi nella loro particolarità, non solo architettonica, che rappresentano il riflesso di ogni storia che ne ha determinato la loro evoluzione.

Attraversata una delle grandi porte che fanno breccia tra le alte mura, si incontrano piccole ma significative realtà di ristorazione, tra le quali spicca l’enoteca con ristorante “L’Alchimista”.

L’atmosfera di questa realtà a conduzione familiare è un insieme equilibrato di legno, ceramica, pietra e bottiglie, tante ma non troppe, curate nel loro posizionamento e contestualizzate all’interno di un percorso prevalentemente territoriale. Lo spazio esterno è di grande attrattiva quanto quello interno: quest’ultimo ampliato e ultimato a pochi giorni dal primo lockdown nel marzo 2020. Nonostante ciò, il gruppo si è stretto a coorte, facendo affidamento sulla solidità aziendale sino ad allora costruita, beneficiando così della ripartenza all’apertura della scorsa stagione estiva.

L’accoglienza è affidata a Barbara e Cristina Magnini, rispettivamente maître di sala e sommelier, quest’ultima affiancata, tra gli altri, da Lorenzo Sciannamèo; la cucina è la fortezza di mamma Patrizia Moretti, chef e patron che suggella l’alchimia, di nome e di fatto, del locale.

Il richiamo all’arte alchemica, inteso nell’accezione di disciplina della trasformazione del metallo povero in metallo prezioso, ha il sapore sincero della materia prima, riconvertita in piatti capaci di esaltarne il pregio e la genuinità. Un’arte che trova la sua prosecuzione nel progetto di accoglienza e nella naturale empatia che si instaura fra ristoratori e commensali.

Veniamo affidati nelle sapienti mani del bravo Lorenzo, il quale accetta di buon grado la nostra determinazione nella scelta delle portate, apprezzando l’indicazione ricevuta circa la possibilità di uscire fuori dagli schemi classici del vino, in un viaggio nel mondo dei vini naturali.

Nella terra del Sagrantino, vinificato dal 1200 al 1980 come vino passito da fine pasto, scegliere la via del “naturale” è un atto pionieristico. Con la complicità di qualche suggerimento ricevuto da eruditi amici del settore enologico, la scelta cade sulla cantina Bea.

Si decide quindi la sequenza di abbinamenti che vedono “Arboreus”, il Trebbiano spoletino del 2015 in versione orange wine, abbinato ai quattro piatti che sono stati scelti come entrée: stracciata d’uovo, adeguatamente “bavouse”, impreziosita dal tartufo nero uncinato e guanciale, (al secolo “Barbàzza”) resocrispy in padella ma sfumato con Sagrantino e aceto balsamico; seguita da parmigiana di cardi (localmente conosciuti come “Gobbi”) in versione light e, in ultima battuta, coniglio in porchetta cotto a bassa temperatura, panato e fritto, servito sotto forma di roll scaloppato e accompagnato ad una timida maionese alla senape e chips di patate viola e rosse, quest’ultime IGP della corregionale Colfiorito.
Il “Pagliaro”, produzione di Sagrantino del 2011, ci accompagna nella più classica della tagliatella, tirata a mano, servita con una generosa quantità di burro e tartufo.
Il “Cerrete” 2010, stesso derivato dell’uvaggio di casa, si abbina alla suprema di faraona lardellata farcita con erbe di campo, amare al punto giusto per conferire un accento di carattere alla difficile carne della nobile selvaggina, ammorbidita nell’abbinamento con delle quenelle di mousse di patate viola e verdure lessate.
Degno di menzione è certamente il piccione, presentato in quattro diverse consistenze (patè, salsiccia, petto scaloppato e coscia disossata ripiena) accompagnate da salse alternate a confetture e riduzioni, da chips e dall’immancabile cipolla di Cannàra (Presìdio Slow Food) caramellata.
Due diverse tipologie di Sagrantino, in versione passito, una vendemmia 2014 dell’azienda agraria Moretti Omero e il “Terre di Capitani” di Domenico Pennacchi, aiutano nella scelta dei dessert preparati dal giovane Nicolò Antonelli.
Scegliamo il grande classico “Cappuccino goloso”, un trionfo di panna, cioccolato e mini meringhe al suo interno per il piacevole e necessario crunchy, e sul Tiramisù di Patrizia, un dessert che denuncia la presenza in cucina di forze nuove, composto da crema al mascarpone e cioccolato bianco, priva di uovo e crema al caffè, che si alternano tra tre diversi strati di savoiardi, croccantino e praline al cioccolato. Richiedendo la carta dei vini, decidiamo di mettere in atto un campanilistico confronto-scontro sul campo con l’unico vino dolce siciliano che l’Alchimista ha voluto fosse presente fra le sue proposte, il Ben Ryé di Donnafugata, delle due annate del 2016 e 2017, avendo la conferma che le cose buone non conoscono confini.
E mentre crediamo che sia tutto finito, il nostro cicerone Lorenzo ci propone tour alle cantine Bea, offrendosi di prenotare una visita da lì a pochi minuti, a completamento del nostro piacevole percorso enogastronomico.

 

La Cantina Bea

Un chilometro e mezzo ci divide dal ristorante alla cantina. Si presenta con una struttura architettonica moderna, un segnale chiaro ed inequivocabile del passaggio di testimone dal patriarca Paolo al figlio Giampiero, che ha aggiunto agli undici ettari di proprietà, ulteriori quattro in affitto.
Ci accoglie Mercedes Parlascino che ci accompagna all’interno della struttura che ha visto nascere e crescere, etichettando le bottiglie di olio e di vino a mano, quando ancora l’azienda agricola Bea era poco più che un allevamento di razza “Chianìna” con una esigua produzione di olio e di Sagrantino passìto.
Oggi la commercializzazione di vini naturali assicura un buon fatturato grazie alle cinquantamila bottiglie prodotte, ognuna di essa accompagnata da etichetta narrante che rende edotto il consumatore di ogni informazione necessaria per comprendere i vari processi di trasformazione, e dalla vendemmia 2012, come valore aggiunto di trasparenza, è stata inserita la quantità di solfiti contenuta in ogni prodotto.
Il tempo di permanenza delle bucce e dei vinaccioli nel mosto varia a seconda dell’annata, senza una regola precisa, se non quella del test sensoriale, a cui segue un periodo di affinamento acciaio, un passaggio in legno e una lunga sosta ai box in bottiglia.
La visita termina con la degustazione di ciò che non avevamo testato a pranzo, il “Pipparello” da uve di Montefalco rosso riserva del 2012, ed il Sagrantino passito, vendemmia 2010, degna conclusione di una giornata che ci ha resi Bea(ti) in quell’Umbria culla di sapere e sapore, dove arrampicarsi a sei metri di altezza per raccogliere l’uva viene fatto con un rituale antico, pieno di rispetto e di quella poesia che qui è del tutto naturale.

L’Alchimista – Ristorante
Piazza del Comune, 14
06036 Montefalco (Pg)
Tel. 0742 378558
www.ristorantealchimista.it


 

 

La Cantina Bea

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