L’inconscio dell’Etna nel rapporto tra uomo e natura

 

Il SAL, Spazio Avanzamento Lavori – Borgo creativo, ha ospitato, in quel di Catania un interessantissimo evento, intitolato L’inconscio dell’Etna, in cui Vera Slepoj, psicologa e scrittrice italiana, ha sviscerato le suggestioni e le influenze che il vulcano attivo più alto d’Europa esercita sul singolo individuo e nei rapporti sociali di coloro che abitano l’Etna.

Il meeting è stato caratterizzato anche dalla successiva presentazione del DOC Etna Bianco Superiore Milus 2020 e dalla degustazione del DOC Etna Bianco Nenti 2020 e del DOC Etna Bianco Monte Ilice 2018, ossia tre vini dell’azienda Cantine di Nessuno del padrone di casa Seby Costanzo. Il segmento precipuamente dedicato ai vini si è concluso assaporando il Doc Etna Bianco Superiore Terre di Nuna 2020, con la conduzione della serata che è stata curata dalla giornalista Francesca Landolina.

Costanzo ha raccontato di avere conosciuto la Slepoj nell’anno in cui scoppiò la pandemia, in occasione della terza edizione del Premio Iolanda, manifestazione che è stata creata proprio dalla nota psicologa e dal gastronauta Davide Paolini e che è incentrata su libri e ricette di cucina e sulla letteratura sul vino. Il produttore siciliano era stato scelto come giurato dell’evento che si tiene in Puglia (a Santa Maria di Leuca) e dalla stima reciproca stabilitasi con la psicologa è nato lo spunto per “L’inconscio dell’Etna”.

L’Etna come inconscio ed il suo legame con l’uomo
Vera Slepoj
ha analizzato il superamento della materialità dell’Etna. Il vulcano siculo (l’analisi della psicologa si è concentrata solo su di esso)andrebbe inteso come un qualcosa che, ciclicamente, fa avvertire sé stesso. Lo fa generalmente senza determinare problematiche eccessive verso gli esseri umani, come la storia sembra in effetti confermare.

L’autrice di “Capire i sentimenti: per conoscere meglio se stessi e gli altri” (1996) ha evidenziato come questo aspetto crei un legame con il concetto di inconscio che è intimamente ed ulteriormente connesso a quello di essere vivente, quindi alla nozione di trasformazione, idee già trattate da Carl Gustav Jung nel suo “La libido: simboli e trasformazione” (1912) relativamente agli esseri umani e che la Slepoj ha riferito anche all’evoluzione degli animali e della flora. Sigmund Freud, che visse ed operò all’epoca in cui emergeva una maggiore conoscenza del magnetismo, ha aggiunto la Slepoj, considerava fondamentale l’ipnosi come tecnica psicologica in grado di fare affiorare contenuti nascosti e non visibili che vanno a comporre aspetti dell’inconscio. Inconscio che, sempre secondo la psicologa veneta, è un grande contenitore, una grande caverna che ha dentro di sé esperienze che sono tramutate in sentimenti forti, ferite e conflitti che sono stati costruiti nel tempo e che sedimentano proprio nel fondo dell’inconscio per evitare conseguenze esterne relazionali. Il lavoro del terapeuta consisterebbe nell’avere la misura di ciò che è sepolto nel profondo e cercare di aiutare il paziente attraverso la parola propria e dell’assistito stesso.

Il vulcano si trasforma ciclicamente e “parla costantemente”, liberando voci e conflitti reconditi. Parla con i suoi tremori, le sue eruzioni o l’assenza di uno od entrambi gli elementi. Comunica, ha aggiunto la psicologa, in quanto costituisce l’inconscio del mondo, esprimendo, attraverso il suo essere pulsante, un aspetto catartico per l’uomo che non solo sta sull’Etna ma è L’Etna”.

Chi vive sull’Etna, secondo la Slepoj, è “dentro l’Etna” che è una “materia pensante”. Il vulcano siculo è   qualcosa di vitale che obbliga l’uomo ad adattarsi e modificarsi, a “trasformarsi”. Per cui l’Etna può essere un territorio terapeutico che costringe a valutare l’esistenza di “confini” in un’epoca che spesso li rinnega, che non valuta l’aspetto positivo delle diversità. Un’epoca, anzi, che elimina categorie e differenze che sono un arricchimento e che si contrappongono all’appiattimento generale.

Tutti questi elementi creano un flusso energetico tra il vulcano e l’uomo. Un flusso che si riflette anche nella viticoltura che sull’Etna spesso è eroica. Occorre, infatti, sempre fare i conti con gli umori del vulcano-inconscio e con regole non scritte e mai omogenee, come ha aggiunto Sebi Costanzo, cercando un equilibrio che deve definirsi nel rapporto del produttore, dell’enologo e del coltivatore con la vigna, in una sorta di lotta per vivere in cui le disarmonie devono conciliarsi per ottenere un vino di grande livello.

La vigna, con le sue radici – ha affermato la scrittrice – è il legame dell’esterno (l’uomo) con l’interno (il vulcano), così come lo sono i capelli che sono inseriti nella testa e da essa si protendono. Quindi i vini etnei trasmettono il grado di bilanciamento raggiunto tra le varie componenti esterne, tra cui l’uomo, e l’anima del territorio da cui derivano. E l’acqua – si consideri che i primi edifici vulcanici dell’Etna sorsero a mare, tra Aci Castello ed Aci Trezza – rappresenta la purificazione, la madre, da cui il vulcano si è emancipato, e la sessualità che si traduce anche in quella particolare sapidità che regala ai vini delle zone etnee esposte verso il mare.

La degustazione

DOC Etna Bianco, Nenti 2020 – Cantine di Nessuno
85% Carricante, 15% Catarratto
I vigneti da cui nasce sono collocati sul versante Sud-Est, in Contrada Carpene (750 metri s.l.m.) e rappresenta la linea classica, il biglietto da visita della cantina. Il vino ha mostrato un colore giallo paglierino ed al naso è apparso floreale, fiori bianchi, con una nota talcata. Al sorso ha rispecchiato appieno la sapidità della zona.

DOC Etna Bianco Superiore, Milus 2020 – Cantine di Nessuno
80%Carricante, 20% altre varietà autoctone
“Milus” prende il nome da Milo, cittadina inserita in una zona (versante Est e 700 metri s.l.m.) contraddistinta da un’elevata piovosità (quasi il doppio od ancora di più, in certi casi, rispetto agli altri territori del vulcano) e da un microclima unico nel contesto etneo, come affermato da Costanzo e da Maurizio Garozzo, che coltiva le uve di questo vino, lavorando solo con metodo biologico, pur non essendo certificato. Il vino ha esibito un colore più carico rispetto al precedente, virando sul dorato. All’esame olfattivo si sono avvertiti fiori gialli, zagara, cedro fresco, alloro e pietra focaia. In bocca (fa due mesi di legno all’inizio) è stato pieno, con una buona complessità e persistenza, sapido e con un finale che ritornato salmastro, dopo avere regalato sapori attenuati di spezie.

DOC Etna Bianco, MIlice 2018 – Cantine di Nessuno
100% Carricante
Milice proviene dalla Contrada Monte Ilice ed il 2018 rappresenta la sua prima annata. È, come si suol dire, un vino di montagna. I vigneti sono posti a 720 metri s.l.m. sul versante Sud-Est, si trovano all’interno di un conetto vulcanico, tanto da far dire ad Aurora Ursino – miglior agronomo d’Italia 2021 che Costanzo fa viticoltura doppiamente eroica perché la svolge “in un vulcano dentro il vulcano”; poi, è anche un vino di mare. Milice accoglie, infatti, la salinità marina in virtù della sua esposizione verso lo Jonio e giovandosi di una buona escursione termica. I terreni, come sostenuto dall’agronomo dell’azienda Andrea Marletta, generalmente non necessitano di acqua, anche se ultimamente ci sono state delle evoluzioni differenti. Il vino fa affinamento in tonneau di rovere “stra-usato” per almeno 12 mesi, poi acciaio e bottiglia. Al naso si avvertono sentori di idrocarburi, fiore di pesca, erbe officinali. In bocca emerge con leggerezza, sapidità e mineralità. Il legno è ben integrato, rendendo il vino, che possiede una grassezza interessante, piacevolmentecomplesso.

Doc Etna Bianco Superiore, Nuna 2020 – Terre di Nuna
100% Carricante
Fabio Percolla ha portato un vino non ancora in commercio e proveniente da terreni da poco inseriti nella zona enoica di Milo. L’altitudine è intorno agli 800 metri s.l.m. mentre la parte più cospicua dell’azienda è nella zona di Sant’Alfio. Lo stesso enologo ha ricordato come il confine amministrativo della DOC Etna Bianco Superiore sia stato stravolto dall’eruzione del 1971. I terreni della cantina sono attraversati dalle colate laviche di quell’anno, con tutte le difficoltà che questo comporta. Il colore di questo vino è giallo paglierino carico. Al naso si sono sprigionati fiori bianchi, sentori agrumati e fini idrocarburi. Al palato è stato verticale con una buona scia sapida. Nel finale si è notato un bel ritorno di frutta secca.

L’Etna come inconscio ed i suoi legami con l’uomo sono solo alcuni aspetti del perché i vini etnei abbiano le stimmate dell’unicità e della poesia e spiegano anche, ha sostenuto da Agata Arancio (vicepresidente regionale di FIS), come gli abitanti etnei siano trasversalmente e culturalmente vulcanici nel loro essere ed agire.

di Gianmaria Tesei


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