Missione cappuccino con le blogger (2/3). Viaggio alla scoperta delle delizie di Palermo

 

(continua da Missione Cappuccino/1)

 

Dopo un rapido saluto alla cucina e al fratello di Piero, Vito Riccobono, non ci resta che invocare ad alta voce un espresso per noi, e con una certo imbarazzo, due cappucini per le nostre ospiti. E’ evidente che il cappucino sta alle nostre ospiti come il Martini agitato e non mescolato sta a James Bond. Ma per fortuna “Ai Cascinari” dopo i pasti servono solo espresso.

Ora, cosa c’è di meglio, dopo un pasto abbonte a base di melanzane fritte, di una bella…dormita? direte voi! Ma non scherziamo!! Molto meglio una panoramicissima passeggiata sui tetti della Cattedrale!

Una ripida e claustrofobica scala a chiocciola conduce in cima ad uno degli edifici sacri più belli di Italia. È un mix perfetto di contaminazioni artistiche, una fusione riuscita di culture e stili diversi che combinati insieme creano un’opera unica non per nulla patrimonio dell’umanità. La vista che si gode da quassù è superlativa, Montepellegrino è maestoso con la città ai suoi piedi. Un paio di scatti per immortalare il panorama e vai per l’antico porto della Cala.

Percorrendo corso Vittorio Emanuele raccontiamo a Jenna e Grace della nostra Palermo, dei personaggi storici che l’hanno abitata, delle leggende e delle tradizioni. Ci chiedono della Mafia, del pizzo, dei parcheggiatori abusivi, si stupiscono della nostra “tolleranza”. Troppe cose da dire e da spiegare. Parlo loro di NOMA l’applicazione nata da un’iniziativa dell’associazionre culturale “sulle nostre gambe” e che raccoglie le storie di 22 vittime della mafia, uomini e donne che hanno sacrificato la loro vita per combatterla. Il progetto è stato voluto da Pif e nasce dall’idea che la stessa città di Palermo sia un grande museo della resitenza contro un male che non è stato ancora debellato. Ascoltano con interesse anche se a tratti capisco che non seguono sino in fondo. Il sole sta per tramontare e noi siamo lì a guardare le mille sfumature di rosso e arancio che colorano le barche ormeggiate alla Cala. E’ una buona occasione per prendere qualcosa di fresco.

“Che prendete?”. L’attacco della cameriera è gentile ma deciso. Guardo Jenna poi Grace e di nuovo Jenna mentre nella mia mente come un mantra risuona la frase “don’t say Cappuccino!”. Colgono e optano per due sorbetti. Un risultato inaspettato. Dopo il vittorioso aperitivo è il momento della cena. Prima una sosta folkloristica con foto da Zia Pina alla Vucciria, poi Buatta.

Nel centralissimo corso Vittorio Emanuele questa osteria recensita da Slow Food offre il meglio della cucina popolana, con un tocco contemporaneo sia dentro che fuori il piatto. Qui si trovano i classici anelletti al forno, o “col forno” come dicono i palermitani, il macco di fave, l’insalata di polpo con menta e bucca di arancia, spezzatino con patate e sarde a beccafico, un piatto antico il cui nome deriva dai beccafichi, dei volatili di cui era ghiotta la nobiltà. Farciti con le loro stesse interiora erano un piatto inaviccinabile per il popolo che ripiegò sulle più economiche sarde. Innaffiamo il tutto con un buon Cerasuolo di Vittoria e dopo un salto in cucina e una chiacchera lo chef Fabio Cardilio raggiungiamo la galleria di Francesco Pantaleone.

Gli spazi espositivi della FPAC si trovano in uno dei lughi più scenografici e suggestivi della città, i cosiddetti Quattro Canti. Ci accoglie lui stesso. La sua attività promuove artisti di talento, nati o residenti in Sicilia, e propone esposizioni di quotati artisti internazionali. Nel suo ufficio panoramico, si affaccia proprio sul Canto in cui fa mostra di sé la statua della Primavera, racconta dei progetti futuri. Uno tra tutti, gli stucchi del Serpotta potranno specchiarsi tra qualche giorno in 60.000 litri di latte che ricopriranno i pavimenti dell’Oratorio di Santa Caterina d’Alessandria.

Jenna e Grace chiedono del Caravaggio rubato. La tela, raffigurante la natività coi santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, venne trafugata nel 1969. Da allora tante le segnalazioni ma nulla di fatto. Scomparso. Persino dei pentiti di mafia parlarono dell’opera, sostenendo che fu usata dai corleonesi come merce di scambio per un alleggerimento del 41 bis . Secondo altri, a tenere il capolavoro in casa era il boss Gaetano Badalamenti, mandate (tra i tanti) dell’omicidio Impastato; mentre per Spatuzza la tela fu abbandonata in una stalla in attesa di un piazzamento sul mercato nero. Qui sarebbe stata rovinata da maiali e ratti.

Col passare degli anni, le probabilità di ritrovare questo dipinto di Caravaggio sono sempre più remote. Ma un progetto commissionato da Sky Arte e realizzato da una delle poche aziende del mondo che dispone di sofisticati scanner 3D per ricreare opere perdute, ha dato vita ad una fedelissima copia digitale. È un metodo rivoluzionario che permette di conservare e riprodurre scientificamente le opere d’arte, un’opportunità unica per tornare ad ammirare questo capolavoro assoluto della storia della pittura. A proposito, per il 7 Luglio vale l’invito per la prima personale dell’artista Stefano Arlenti.

Ne vedremo delle belle, e voi ne leggerete…

(TO BE CONTINUED)

 

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