Modica la dolce, tra cioccolata, cubbaite e ‘mpanatigghi

 

Modica, meravigliosa cittadina incastonata, come una pietra preziosa, nell’altopiano ibleo, piena di sorprese molte ancora da scoprire, pregna di storia millenaria e ricca di giacimenti enogastronomici  di comprovata fama mondiale.

Elena La Delfa

Elena La Delfa

Modica, che delimita i suoi confini di campagna, generosa e fruttuosa terra, con i muragghiuni, classici muri a secco di pietra bianca, allestiti senza cemento, ma  solo grazie all’opera certosina di artisti della pietra.

Modica, che si lascia visitare in lungo ed in largo per vicoli e stradine un tempo percorsi da muli e carretti dal caratteristico lastricato di piccoli mattoncini di pietra bianca, talmente unici da aver ispirato un cioccolatiere locale per i suoi Cuticci al cioccolato e finocchietto selvatico!

Lunghe scalinate che collegano case  che dal corso principale di Modica bassa s’inerpicano  fin a Modica alta ed ancora più su fin alle grotte scavate lungo i costoni rocciosi che, ricovero un tempo di povera gente, di animali, od all’occorrenza  di briganti e fuggitivi, sono oggi meta turistica; un susseguirsi di gradini, dunque, di pietra bianca, che, improvvisamente, conducono verso le  cattedrali maestose di San Pietro e di San Giorgio che con le loro straordinarie facciate diventano protagoniste di  scenari di fictions televisive e pellicole di chiara fama.

Modica, città nella quale periodi di storia tristemente noti, sono racchiusi in quartieri come il Cartellone, quartiere ebreo che, oggi, rivive con splendidi percorsi animati da artisti, poeti e letterati che richiamano cittadini e turisti.

dolci di mandorle

Città dove il “tampasiare” (passeggiare) è “gustoso”,  oltre che piacevole, guidati da antichi e pur sempre attuali inebrianti profumi di forno a pietra scrigno di prelibatezze locali: “pane di pasta dura o pani ra briula”,  scaccepastieri, pastizzu, “rota do caciu”, esempi del del patrimonio gastronomico; ovvero,  di molti biscotti  di “saimi” (sugna) da colazione e non, biscotti ad esse al latte, affucaparrinu, fringozzi;  che dire, poi, del tempo in cui i dolcieri locali “atturravano” lo zucchero e torchiavano bucce di cedro e di arancia per regalare, ieri come oggi, prelibatezze quali l’aranciata e la cedrata, localmente “pietrafennula, perché particolarmente dure e difficili da mangiare, che si spiluccavano durante le lunghe notti di veglia natalizia a forma di nido e di cilindretto appartenenti alla categoria di torroni di cui la Sicilia è ricchissima in ogni sua provincia.

cubbaitaScruscio ri carta e cubbaita nenti”, adagio locale sulla cubbaita torrone di sesamo e miele di araba memoria, tra tutti, torroni venduti per strada da cubbaitari e turrunari locali. Città presepe, che si snoda lungo il corso principale dove un tempo scorreva un  torrente  sovrastato da ponticelli per collegare le due sponde di terreno (tanto da meritarsi l’appellativo di “Venezia del sud”) perla del barocco ibleo, con un patrimonio architettonico di inestimabile valore artistico e storico- culturale: chiese, complessi conventuali, palazzi nobiliari dai caratteristici balconi con le ringhiere in ferro battuto, bombate, sostenute dai “cagnuoli” (figure decorative in pietra) torre dell’orologio che sovrasta i resti del castello dei conti un tempo luogo del potere politico ed economico della città, accolgono e meravigliano il turista e stuzzicano la curiosità necessitando la ricerca archivistica, di studiosi che assaporano, diventandone parte, i fasti di un tempo, attraverso le storie, i racconti, le liste della spesa, di chi quei tempi li ha vissuti.

Testimoni di un’epoca  di gattopardiana memoria in cui casati come i Grimaldi, i Polara, i Tomasi-Rosso, i De Naro-Papa, per citarne solo alcuni, abitavano i palazzi, vivevano i saloni delle feste ed i salotti di conversazione e popolavano, ahimè, anche i conventi di clausura dato che al figlio cadetto, non toccava il titolo per la legge del maggiorascato e venivano destinati alla vita claustrale, con o senza vocazione.

la-dolceria-modicana-05

i nucatoli

E così nel silenzio dei conventi tra raccoglimento e preghiere le abili mani delle spose di Cristo confezionavano “dolcezze monacali” giunte fino a noi grazie alle dolcerie che ancora oggi popolano le strade siciliane, in particolare quelle modicane, attraverso un meraviglioso e dolcissimo ponte di collegamento costituito dalle monache di casa (religiose che lasciarono il convento perché chiuso e definitivamente confiscato nel 1860, ovvero, donne laiche che dedicavano la loro vita a Cristo); ad esempio, la monaca Liuna e le monache Avveduto che si recavano presso le famiglie abbienti in corrispondenza di feste religiose per confezionare palummette, quaresimali, nucatoli, mustazzola, da riposto frutta martorana, biscotti ricci, palmette, dolce savoia, dolcetti del conte, deliziosi, parigini, biscotti di mandorla localmente “viscotta ra panza” e l’elenco potrebbe ancora continuare se non fosse, forte la convinzione di chi scrive di aver stuzzicato abbastanza il palato tanto da indurvi all’assaggio immediato, ancor meglio nel luogo di produzione!

gli 'mpanatigghi

gli ‘mpanatigghi

Ma è tra le mura del convento delle suore benedettine che nasce il prodotto caratterizzante la “dolce” Modica, perché unico ed irripetibile in altro territorio, dato che è proprio a Modica che si concretizzano nella “‘mpanatigghia” anni di storia che affonda le sue radici fin nelle popolazioni precolombiane, degli Aztechi e dei Maya, e che attraverso gli spagnoli giungono fino a Modica con il perpetuarsi ancor oggi dell’ uso ed del consumo, pervasi da magici rituali della cioccolata!

La ‘mpanatigghia è un raviolino di pasta che racchiude una farcia di carne e cioccolato con chiodi di garofano e cannella, poi cotto in forno che trova il suo corrispondente nella “liccumia”, dolce con la melanzana al posto della carne per i meno abbienti.

Delizia, questa, confezionata dalle monache impietosite dal lungo peregrinare dei padri predicatori, che sfruttarono la liceità del consumo della cioccolata consentito, per volere dei padri gesuiti, nel periodo di digiuno quaresimale, dato che, veniva considerato una bevanda e non un alimento. Questo a motivo di un lungo tempo in cui il cioccolato era destinato ad un consumo in tazza; infatti, nella cittadina iblea a “lanna ra ciucculatta” (stampo nel quale la cioccolata liquida si addensava, freddandosi) era caratterizzata dai “sinna ra ciuccullatta”, cioè da segni che delimitavano l’unità di misura utile per produrre una tazza di cioccolata. Così, se è vero com’è vero, il perpetuarsi di ritualità antichissime, ancora oggi è possibile acquistare cioccolattiere con in cima un pestello, ricordo dell’antico “molinillo” che, se sbattuto contro le pareti, crea un movimento onomatopeico (donde il nome chocolat) rotatorio, che determina la formazione di un colletto di schiuma superficiale dove si concentrano tutte le sostanze aromatiche tipiche del cacao e, se del caso, di quelle aggiunte ex post che seguendo l’antica tradizione erano solo cannella, vaniglia e peperoncino, e che oggi si apprezzano nelle loro infinite varietà: sale, chiodi di garofano, agrumi, limone, menta, melograno e altri.

pistuniAncora fino a pochi anni addietro era possibile entrando in una dolceria locale assistere alla preparazione della cioccolata: il dolciere inginocchiato, riverso sopra una pietra localmente chiamata “a petra ra ciucculata”, ricordo del più antico metate, poggiata su carboni ardenti e concava al centro, lavorava i semi fino a creare una pasta amara, oggi punto di partenza dei cioccolatieri locali per esigenze di celerità di produzione. Poi addizionava la pasta di zucchero grezzo ed aromi, un tempo solo vaniglia o cannella, a quel punto si creava un’amalgama preziosa e profumatissima, grazie alla fuoriuscita del burro di cacao, naturalmente contenuto nei semi, mai aggiunto (nella cioccolata di Modica, infatti, non si fa mai aggiunta di burro di cacao).

Indi, l’artigiano procedeva con “u pistuni”, grosso mattarello in pietra, alle “stricate” cioè a strisciare la massa  una, due, tre volte,  a seconda delle necessità, massa che a contatto con il calore risultava puntinata dai cristalli di zucchero che con il calore si imprimevano al composto inscindibilmente. Questo, è il segreto dell’artigianalità del prodotto che si rivela già alla vista con questo luccichio di cristalli ed al gusto con una sollecitazione delle papille gustative data dalla ruvidità dello zucchero che si fonde poi in un unicum con la tendenza amarognola e l’aromaticià apprezzabile anche con il retronasale.

lavorazione delle barrette

lavorazione delle barrette, le lanne

A questo punto si era pronti per la fase di raffreddamento, così il composto si trasferiva nelle “lanne”, forme,  che si sbattevano per far venire fuori l’aria eventualmente inglobata durante la lavorazione, e, lì riposava; sformata, la tavoletta veniva incartata un tempo con carta oleata, rosa per quella aromatizzata alla vaniglia e rossa per quella alla cannella oggi con incarti vari a seconda del laboratorio.

Ed è così che, ieri come oggi, nasce il cioccolato modicano dalle origini antichissime ,conosciuto e degustato in tutte le parti del mondo grazie all’instancabile opera dei dolcieri locali!

Gustare una delle dolcezze modicane, apre le porte di quel luogo della casa a metà delle scale d’ingresso, in cui a sentire testimonianze locali, si conservavano sotto chiave le prelibatezze da riposto preparate periodicamente secondo le festività: “lo stanzino del paradiso”! (dai racconti della sig.na Avveduto).

di Elena La Delfa

 

Dove? Ecco le migliori dolcerie e laboratori di Modica:
Antica Dolceria Bonajuto, www.bonajuto.it
Laboratorio Casa Don Puglisi, www.laboratoriodonpuglisi.it
Casalindolci, www.casalindolci.it
Donna Elvira, www.donnaelvira.it
Ciomod, ciomod.com
Sabadì e Gli Orti di San Giorgio, www.sabadi.it
Caffè dell’Arte, caffedellarte.it


 

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