I Pupi, due passaggi, il primo a maggio, il secondo in ottobre. Senza falsa modestia, splendidi. Il nostro bilancio è che il ristorante di Laura Codogno e Tony Lo Coco sia un locale dai progetti ambiziosi, già pietra miliare per navigati gastronomi siciliani.
Un breve passo indietro. Una Stella Michelin (guida 2015), secondo varie guide al vertice della classifica dei migliori ristoranti della provincia di Palermo, I Pupi di Bagheria mi riporta a ricordi sopiti, anzi, un déjà-vu. A sette gli anni dalla sua nascita, era il 2009, ha resuscitato la sindrome della “Palermo off” del Mulinazzo di Nino Graziano. La prima nel 1998, poi due stelle Michelin nel 2003, era meta dei pellegrinaggi extra-urbani di una Palermo golosa e curiosa, abituata (male) a rispondere in maniera vuota alla domanda in quale ristorante amasse cenare: il tipico “…no grazie, io mangio bene a casa mia” era spesso motivato con la caponata e gli anelletti al forno della nonna. Negli anni ’90 lo “stellato” era dunque una novità, figuriamoci due stelle. Il mai dimenticato Mulinazzo concretizzò un nuovo bisogno, quello di frequentare un santuario gastronomico. Un testimone raccolto oggi da I Pupi, anche nella idea del viaggio o “pellegrinaggio”.
Ma ci sono differenze, alcune tangibili, altre concettuali, figlie della recente evoluzione della ristorazione italiana. Anzitutto pochi numeri. Gli spazi de I Pupi sono contenuti, 28 coperti. Quattro menu degustazione – 35, 75, 85 e 110 euro – che accontentano tutti. L’ambiente, minimalista, è lineare, qui risaltano le scelte di design, oggetti e quadri d’arte contemporanea. Importante la carta dei vini, ma non per questo inutilmente vasta, con scelte di qualità che mostrano champagne, piccole chicche e un sommelier capace di fare proposte emozionali. Infine, Laura Codogno, responsabile di sala, maître e padrona di casa, capace di trasmettere il senso dell’ospitalità e un taglio “femminile” al locale.
La cucina manda un messaggio forte e chiaro a tutti coloro che hanno desiderio di cimentarsi ai fornelli senza avere alle spalle un percorso scolastico dedicato. La storia di Tony Lo Coco nasce prima di tutto in un contesto familiare. L’avvicinamento è istintuale e si tinge di autentica passione. Un strada che, anche se in apparente salita, dimostrerà che talento e amore per il proprio lavoro non conoscono barriere, regole o gerarchie.
Una rapida occhiata al menù e si deve lasciar fare allo chef. Sono seduto a tavola con Fabio Cagnetti e Francesco Previtera. Fabio è il signor N.O.W., “Non Ordinary Wines”, raffinato conoscitore, selezionatore e anche importatore. Forti del suo catalogo, abbiamo deciso di seguire la scia, in maniera meno convenzionale, dei piatti dello Chef.
L’amouse bouche è un piccolo e divertente tour tra lo street food di tradizione: panzanella – pomodoro, pane e burrata – sfincione, sgombro alla caponata, mousse al burro di alici e capperi, arancina di panelle e miele al limone. L’apertura è gestita dal sommelier Claudio D’Alessandro con le “bollicine della casa”, il Brut di Tasca d’Almerita, il Blanc del Blancs nato sulle Madonie in contrada Regaleali. Poi, crudi di pesce con oli aromatizzati in casa e sali del mondo con il Rosé Cuvée Pauline 2002 di Bruno Michel, un Pinot Meunier 100% millesimato della Valle della Marna; pochi ettari coltivati tra Pierry e Moussy, appena a sud di Epernay. Il piatto è costituito da una batteria abbinata dove ogni pesce ha il suo olio e il suo sale: scampo con olio al mandarino e sale rosso di Hawaii; gamberetto di nassa, olio al limone e sale degli Himalaya; gambero rosso di Mazara, olio all’arancia e sale blu di Persia; scorfano con olio al carrubo e fleur-de-sel; pesce sampietro con olio all’alloro e sale Maldon; infine, tonno con olio affumicato e sale di Trapani; calamaro con olio alla cenere e sale nero.
La rifrescante sequenza è seguita un goloso scampo d’inverno, scottato in padella sulle sue chele, bieta e jus-de-viande. Il passaggio è scandito da un sapido, divertente e insolito Saar Riesling Brut di Peter Lauer, un metodo classico della Saar (affluente della Mosella) fragrante dalle note agrumate, di cedro e limone verde. Lo scampo è raggiunto da quello che è consideriamo il piatto della stagione 2017 de I Pupi, il Gambero nella sua nassa di patata croccante infusa nella barbabietola, vellutata di patate, ‘Nduja e zenzero. Questa versione del gambero 3.0 – uno stadio di evoluzione assai felice – è più convincente che mai. La serie degli antipasti si chiude con un Bonbon di seppia con salsa al Tardivo di Ciaculli e gelato ai ricci di mare. L’abbinamento “ricci” è ardito, ma resta in un certo senso in tema, con il Mareneve 2016 di Federico Graziani, un vino evocativo, etneo, un blend di Riesling, Gewürtztraminer, Grecanico e, in piccola parte, di Carricante e Chenin Blanc. L’altitudine e i vitigni lo rendono snello, tagliente, la permanenza sulle fecce fini ne delineano il carattere.
I primi: Tortelli di triglie ripieni di verdure spontanee croccanti. L’abbinamento è con il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 2016 di Failoni. La sua semplice austerità stride con l’opulenza mediterranea del vino che lo segue, una proposta di Claudio, la Bianca di Valguarnera 2013 di Duca di Salaparuta. Ma la rotondità dell’Insolia di Salemi, affinata il legno, trova risposta in un altro primo ormai celebre, gli anelletti al forno gratinati con pan mollica farcita con crema di burrata, tuma persa, caciocavallo e ragoût di tonno. Nella sua rivisitazione gourmet, il caotico disordine della pasta viene disciplinato trasformandosi in una batteria di piccoli tubetti che accolgono un morbido ripieno di burrata. Il ragù, che condisce e amalgama tutto, non è di carne ma di tonno. Copre tutto un velo di crema di Tuma e spuma di caciocavallo.
Il piatto successivo, la stigghiola di tonno, è un classico de I Pupi. Non budello di capretto e lardo, come nella tradizione bagherese/palermitana, ma scalogno, prezzemolo e affumicatura alla carbonella con tonno e ventresca. Un piatto reinventato due volte. Centrato per abbinamento, lo accompagna un Collio Friulano, Rolat 2016 di Raccaro, il vino raggiunge il piatto e tocca i tasti giusti. L’energia del friulano vinificato in acciaio contiene l’esuberanza del cipollotto e del tonno.
Gli ultimi due vini sono il pretesto per aggredire una succosa Mupa dorata allo spiedo sulla sua pelle croccante. La scelta duale ricade su uno Gevrey-Chambertin 2014 di Thierry Mortet e su un Mersault, Vieilles Vignes 2012 di Sylvain Dussort. Il primo, una vendemmia di varie parcelle estese complessivamente tre ettari, rappresenta questa denominazione comunale della Côte-de-Nuit in maniera ammirevole. Vitigno e village fanno lo stesso gioco, l’annata giovanissima punta decisamente ai varietali di Borgogna. Anche lo Chardonnay, da vigne vecchie, di Dussort riporta ad alla celebre denominazione comunale Mersault, sinonimo mondiale di uno stile. Non è un cru altisonante, ma la posizione delle parcelle e la mano leggera del vigneron lo rendono elegante e piacevole.
La chiusura: zuppetta ai fichidindia e gelato di mandorla, seguita da cioccolato, una mousse al caffè, gelato al cioccolato bianco, crumble di cioccolato al caramello e polvere di cacao. E si continua con gli ultimi due vini… interminabili, anche sui petits fours.
Per quanto qui raccontato, a qualcuno non sfuggirà un importante dettaglio: come tornare a casa dopo questo menù degustazione e questa batteria vini. Ma Laura e Tony offrono un servizio con “chauffeur” anche su Palermo. A un prezzo concordato, un autista verrà a prendervi e vi lascerà a casa, così da avere libero godimento della cantina.
Et maintenant, mes amis – Bon Appétit !
di Francesco Pensovecchio
I vini
Brut – Tasca d’Almerita
Bruno Michel – Rosé, Cuvée Pauline 2002 (sboccatura 2016)
Peter Lauer – Saar Riesling Brut
Federico Graziani – Mareneve 2016
Failoni – Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 2016
Duca di Salaparuta – Bianca di Valguarnera 2013
Raccaro – Collio Friulano, Rolat 2016
Thierry Mortet – Gevrey Chambertin 2014
Sylvain Dussort – Mersault, Vieilles Vignes 2012