Il Perpetuo, il vino della tradizione marsalese ingannato dagli inglesi

 

La cultura siciliana del vino è allo stesso tempo antica e moderna. La sua comparsa si perde nella notte dei tempi, nelle grotte preistoriche del terzo millennio a.C. e dell’età del rame, negli insediamenti dei fenici, sulla costa occidentale della Sicilia, in quelli greci, sulla costa orientale. Non mancano persino riferimenti nella mitologia. Essere terra di conquista ha qualche vantaggio. L’Isola simboleggiava molto, spazio, ricchezza, fama, ed era al centro di tutto. Era una terra di giganti dove si celavano le fucine degli Dei e incredibili forze. Il vino, che tutto racchiude, uomo, sapere, arte, è una connessione diretta con il creato. Eppure, alcuni eventi epocali della storia mondiale del vino sono recentissimi. Ciò che accadde a Marsala nell’ultimo trentennio del ‘700, un puntino su una linea lunga tremila anni, potrebbe, anzi, dovrebbe essere motivo di ricerca. Partire da qui e tornare indietro verso il “vino senza nome” potrebbe significare ritrovare l’essenza stessa della Sicilia.

FP


 

Ingannato dagli inglesi
Antenato del vino Marsala, il Perpetuo o Vino Vecchio è l’asse portante della tradizione vinicola familiare marsalese e trapanese. Alle sue spalle ci sono – si fa fatica solo a pensarlo – 3.000 anni di storia. La sua esistenza è tuttavia legata – scopriremo poi “sacrificata” – a vantaggio del vino Marsala, un vino di indiscutibile fama. Eppure, del Perpetuo si hanno pochissime tracce.

La dimostrazione dello stretto legame è semplice e quanto mai interessante: la parabola del Marsala, ampia circa 200 anni, inizia nel 1770 con l’intuizione di un commerciante di Liverpool che aveva lavorato in Portogallo e che, per ragioni professionali, conosceva i vizi degli inglesi e i mercati del Madeira, dello Sherry e del Porto.

Woodhouse Elizabeth

Il brigantino Elizabeth

Viaggiava nel Mediterraneo meridionale a bordo del suo brigantino Elizabeth alla ricerca di un semilavorato di origine vegetale dal quale si otteneva la soda, noto per lo più con il nome spagnolo di “barrilla“, la Spagna ne era la principale produttrice.
L’Isola era un luogo tranquillo, sicuramente più della squattrinata Francia che a passi rapidi si avvicinava all’utilizzo dello strumento del dottor Joseph-Ignace Guillotin. Nel 1735 i Regni di Napoli e Sicilia erano passati dall’Austria alla Spagna di Carlo III di Borbone. Un finissimo lavoro di cesello orchestrato da mamma Elisabetta Farnese e ratificato nel 1738 con il terzo trattato di Vienna. Sui due regni meridionali, però, si distinse Ferdinando, terzogenito di Carlo. Lasciato solo a Napoli all’età di soli 8 anni a causa di urgenze in patria, governò presto. Fu svincolato da una educazione stringente e assistito da un “Consiglio di Reggenza” sino a 16 anni, poi, giunse a nozze per procura con gli Asburgo. Per lui, Maria Teresa d’Austria scelse la figlia Maria Carolina.
Ferdinando si impegnava il necessario e la sposa, non troppo devota, aveva facoltà di intervenire. Frequentava John Acton, politico britannico e comandante della flotta navale di suo fratello, il Granduca di Toscana, Pietro Leopoldo. Acton fu investito dalla sovrana di numerosi incarichi, divenendo successivamente ministro del Commercio e della Marina dei due regni, poi segretario del Regno di Napoli.
Non stupisce che le acque dell’isola fossero navigate dagli inglesi e che il commerciante John Woodhouse, questo era il suo nome, durante uno dei suoi approdi avesse individuato un vino pregevole ed economicamente interessante. Nel 1773, prima di spedirlo in Inghilterra senza indicarne la provenienza, memore degli usi portoghesi e di Jerez, ebbe l’accortezza di aggiungere 2 galloni di alcool (poco meno di 5 lt.) in ciascuna delle trenta botti da 415 litri. Una misura forse eccessiva considerato il già alto tenore alcolico del vino, il Perpetuum. Ma il viaggio verso Londra è lungo, non si sa mai quello che può accadere. Per mettersi ulteriormente al sicuro lo spacciò per Madera.

Il risultato? Fu un successo incredibile, le richieste andarono alle stelle, i mercati concorrenti sconquassati. Per sostenere il suo progetto Woodhouse iniziò con l’intrecciare rapporti con i proprietari dei vigneti della zona. Le sue proposte erano allettanti perché anticipava il denaro che i contadini avrebbero guadagnato con i migliori mosti.
Nella Londra dei primi dell’800 circolava della pubblicità che riportava sul vino la dicitura “Sicily Madeira” o “Bronte Madeira”. Il nome strizzava l’occhio ai nuovi acquisti di Horatio Nelson, ammiraglio della flotta britannica e neo Duca di Bronte che, a causa di Napoleone, non riusciva più ad acquistare le bevande preferite della marina inglese.

Non passò molto tempo perché se ne accorgesse un altro inglese, Benjamin Ingham. Giunse a Palermo nel 1806 in qualità di rappresentante della ditta di famiglia, la Ingham Brothers & co. di Leeds. Inquadrato il “business”, Ingham espanse verso Londra e il Nord America un commercio talmente florido che 50 anni dopo, alla sua morte, era da considerarsi tra le persone più ricche d’Europa.

Tutto ciò premesso, torniamo al Perpetuum, quel vino tradito, maneggiato, trasformato e privato del suo nome che resse nelle sue fondamenta il vino più apprezzato del mondo dall’800 sino alla seconda guerra mondiale. Solo la fillossera e una sostanziosa sconsideratezza l’avrebbero messo in crisi. Questo accadde a partire dal secondo dopoguerra, e il Perpetuo fu trascinato nell’oblio. Solo apparentemente senza titolo e senza storia.


 

Il Perpetuo
Con il termine “perpetuo” si intende qualcosa che non ha fine, che dura in eterno o che cela degli elementi che gli permettono di non finire mai. Prima dell’arrivo degli inglesi, sin dai tempi dei fenici, si produceva un vino naturale da uve provenienti da vigneti allevati ad alberello fenicio-punico, cioè senza guida, di Catarratto, Inzolia e Catanese Bianca. La particolarità dei suoli e del clima, assieme alle tecniche di coltivazione della vite e l’età dei vigneti (le vigne avevano in media molto più di 30 anni), determinavano l’eccellente maturazione delle uve facendo raggiungere ai vini gradazioni alcoliche tra i 17 e i 19°. La vinificazione con macerazione sulle bucce, energiche pressature e alte temperature, contribuivano ad ottenere mosti e vini ricchi di polifenoli ed estratti. La conservazione avveniva in botti di castagno e rovere. Al prelievo di una certa quantità di vino dalle botti – questa era la tradizione marsalese – corrispondeva un “rabbocco” con vini più giovani di vendemmie successive. Il vino spillato era talmente sontuoso e alcolico, ma anche raro, che era conservato con la massima cura. Ogni famiglia aveva una sua “Riserva” destinata a particolari necessità. Più tempo passava, più buono diventava il vino in botte. Le famiglie che potevano permettersi di conservare, anzi, “perpetuare” questo metodo destinavano tale vino per allietare le grandi occasioni, la nascita del figlio maschio, un battesimo, il matrimonio della figlia, festeggiare un buon affare, attribuendone un alto valore simbolico. Il possesso di una botte di perpetuo o di vino vecchio costituiva un vero e proprio privilegio di cui potersi vantare. Una virtù da tramandare alle nuove generazioni.
Questa antichissima tecnica e tradizione fu messa in crisi dall’industrializzazione degli inglesi. I vini di Marsala, autentici racconti di vita, si erano tramutati in banale commercio. Le nuove priorità: prezzi contenuti per un vasto mercato, ampia disponibilità di prodotto in tempi brevi. Ignorate le peculiarità di un prodotto per il quale gli elementi chiave sono la vigna “vecchia”, la contrada e i tempi di affinamento, oltre, naturalmente, il vitigno.
Nonostante il difficile quadro, alcune famiglie marsalesi continuarono nella produzione di vino Perpetuo, gelosamente custodito negli anfratti delle case di campagna.

Territorio
L’area geografica in cui si sono sviluppate le condizioni che hanno permesso la produzione di questo vino si trova in una ristretta zona della provincia di Trapani. Più precisamente dall’attuale nuovo aeroporto di Birgi, circa 15 km in linea d’aria a nord di Marsala, fino a Mazara del Vallo. In larghezza, dalla costa verso l’interno sino a raggiungere l’intera parte pianeggiante dell’altopiano a est. L’altopiano si innalza fino a 150 m s.l.m. e si estende anch’esso da nord a sud per una larghezza che, a seconda del tratto di costa, va da 6 a 12 km.

Contrade e Bagli
Circa un centinaio le contrade ove si produceva il Perpetuo. I nuclei abitativi detti “Chianu” (piano), erano costituiti da case affacciate su di un piazzale comune ove spesso era collocato un pozzo d’acqua. Erano prevalentemente luoghi di lavoro. I “Bagli”, invece, si trovano in posizioni dominanti dalle quali controllare il territorio e nei pressi dei campi da lavorare. Sorti in tempi più antichi, per lo più nei secoli XVII e XVIII, svolgevano inoltre una funzione difensiva. L’azienda agricola era una villa fortificata con importanti mura e piccole finestre che davano all’esterno. La vita si svolgeva nel grande cortile interno da cui sembra proprio provenire il nome baglio (Ballium, dal tardo latino ballium, cortile circondato da alti edifici o muri; o Balarm, casa-fortezza, costruiti a difesa). L’accesso al cortile avveniva attraverso un grande portone che permetteva il passaggio di carri e carrozze. La parte alta dell’edificio costituiva la residenza abitativa del padrone della sua famiglia. I piani bassi erano invece destinati ai contadini e al deposito delle provviste, dei foraggi, dei raccolti, degli attrezzi da lavoro e vi si trovavano anche le stalle. Molto spesso i Bagli erano costruiti su rovine o nei pressi di edifici preesistenti a testimonianza che quei luoghi erano già stati prescelti da popoli precedenti come punti di interesse per lo svolgimento di attività agricole.

Clima

Vista sul mare e sulle isole Egadi

Caratteristica principale di quest’area è il mare. Anche a nord dista poche decine di chilometri. Le brezze spirano per oltre 300 giorni l’anno, favoriscono la produzione di uva di qualità, abbassano l’umidità all’interno della vegetazione e del grappolo, riducono l’incidenza delle malattie fungine. La quantità di precipitazioni è modesta, a stento raggiunge i 300 mm annui. Tuttavia, la particolare conformazione del terreno trattiene le precipitazioni dall’autunno alla primavera restituendola alle piante durante il lungo e siccitoso periodo estivo.
In ogni caso, le temperature massime si concentrano in un numero limitato di giornate estive e raramente raggiungono i 40°C sempre mitigate da venti e brezze. Data la latitudine e l’altitudine massima contenuta entro circa i 150 m s.l.m., le giornate di gelo sono praticamente inesistenti e non raggiungono mai livelli troppo bassi. Riguardo alla luminosità e alle ore di sole, è interessante notare come qui si raggiunga la massima intensità di irraggiamento registrabile in tutta Italia.

Suoli
I terreni costieri sono costituiti da sabbia e una breccia conchigliare, una composizione particolarmente vocata per la coltivazione della vite grazie all’elevato contenuto di calcare. La parte più pregiata è proprio quella a ridosso del mare. Più all’interno si ha un avvallamento che anticamente era una palude, successivamente colmato da detriti alluvionali.
Continuando verso l’interno, ai piedi dell’altopiano, il deposito marino calcareo diventa più importante e pregiato per la coltivazione della vite. Lo strato calcareo si alza in diversi livelli fino a raggiungere la sommità dell’altopiano. In cima si trovano delle parti dove questo calcare è affiorante, le cosiddette “sciare”, e parti dove invece per effetto delle erosioni si è formato un minimo di terreno che permette la coltivazione della vite con risultati straordinari. Questo calcare, oltre a fornire sali e sostanze utili al sostentamento della vite, si comporta come una spugna. Positivo il riscontro di un substrato di argilla che trattiene l’acqua e che permette alle piante di crescere senza stress idrico anche durante il lungo periodo estivo dove le precipitazioni sono praticamente inesistenti.

Vitigni
In relazione ai vitigni, va preliminarmente chiarito che il tipo di allevamento ricopre una notevole importanza. Quello caratteristico di questa zona è l’alberello. Grazie alle condizioni climatiche e del terreno, la pianta si sviluppa con vigoria sviluppando una folta chioma. Questo apparato fogliare è fondamentale perché garantisce l’ombra nel terreno circostante, evita l’eccessivo riscaldamento, protegge i grappoli dai raggi diretti del sole permettendogli di poter restare sulla pianta più a lungo per favorire maggiori concentrazioni di sostanze di ogni tipo e soprattutto raccoglie l’enorme quantità di energia solare per permettere l’accumulo negli acini degli zuccheri di tutte quelle componenti che serviranno al vino.
Ciò premesso, la scelta dei vitigni ricade oggi sulle varietà che hanno un’ottima interazione con il suolo e con il clima della zona e possono facilmente riassumersi in catarratto, inzolia e grillo. Anche il damaschino e il grecanico dorato sono vitigni tipici di questo territorio, ma meno utilizzati nella produzione del vino perpetuo.
Le uve destinate a produrre il vino base per il mantenimento del vino perpetuo devono provenire da vigneti con età di almeno 30 anni. In questo modo si riduce naturalmente la resa per ceppo ed i grappoli potranno maturare meglio e saranno più concentrati di zuccheri e soprattutto di polifenoli. Le uve vanno raccolte a piena maturazione, non oltre, prima che inizi il processo di appassimento e cali il corredo acidico caratteristico dei vitigni sopra descritti. La quantità di zucchero delle uve deve permettere lo sviluppo di un titolo alcolometrico il più elevato possibile.
Con uve che hanno raggiunto la perfetta maturazione, mediamente per metà settembre, è possibile ottenere un vino che presenta un titolo alcolometrico tra il 16 e il 17%.

Cantine
Le cantine si trovano quasi tutte al livello del suolo, non interrate, in quanto le escursioni termiche (dai 15 ai 26 C°) fanno parte del processo di affinamento. Generalmente sono abbastanza alte e orientate nord–sud per garantire la ventilazione attraverso le grandi finestre tenute sempre aperte. I coperti sono realizzati con travi a vista, senza controsoffitto e con tetti in tegole di terracotta anch’esse a vista. I pavimenti, invece, erano in tufo per poter mantenere elevata l’umidità. Se lunghi, erano in leggera pendenza per favorire la circolazione d’aria anche in caso di assenza di vento.

Lavorazione
Le uve raccolte, integre, vengono macerate e pressate con forza al fine di estrarre dagli acini e dalle bucce almeno il 4-5% di polifenoli. Il mosto è poi vinificato senza le vinacce in contenitori di legno, la fermentazione alcolica parte con lieviti spontanei autoctoni. Il vino così ottenuto è inserito nel processo di mantenimento di un vino perpetuo esistente, oppure inizia un proprio percorso. Terminata la fermentazione, si presenta scomposto, ruvido, decisamente acido, alcolico e astringente. Queste sostanze sono, però, quelle che gli permettono di durare nel tempo e che lo proteggeranno. L’alcol è un potente antimicrobico, i polifenoli sono antiossidanti ed antisettici per cui il vino non necessita di trattamenti di alcun tipo. Il vino perpetuo è immunizzato dalla sua stessa forza, dalla sua stessa energia. Tra le sostanze presenti, le catechine, quei polifenoli (tipici del vitigno) che creano l’imbrunimento del vino e ne facilitano la sua ossidazione. Lo stesso vitigno a pochi chilometri di distanza da questa zona non sviluppa allo stesso modo questa peculiarità e non potrà dare vino perpetuo. Tutto concorre a fare partire da subito l’ossidazione, compresa l’attrezzatura in bronzo o rame, che ne è la caratteristica principale.

Ossidazione, botti e loro utilizzo
Il Perpetuo aveva un consumo familiare e lo si poteva conservare in botti per lunghissimo tempo, più il tempo passava più il vino migliorava. Era il vino delle grandi occasioni, lo si conservava gelosamente ed il suo consumo veniva fatto spillandolo direttamente dalla botte, all’occorrenza. Da ogni singola botte si cercava di utilizzarne al massimo il 30%, così facendo le botti rimanevano scolme per lunghi periodi dell’anno favorendo quel processo ossidativo.
Quando il vino della nuova annata era pronto ed era ritenuto idoneo a rabboccare la botte del vino “vecchio” si dava seguito all’operazione e si ricominciava tutto daccapo. La botte di vino vecchio scandiva così il passare del tempo e diventava testimone dei momenti importanti delle famiglie caricandosi di significati. Il vino nuovo alimentava il vino “vecchio”, apportando sostanze in grado di mantenere il processo di affinamento. Ecco la ragione per cui più passava il tempo e più il vino migliorava in un ciclo perpetuo di evoluzione che durava oltre la vita delle persone.
Impossibile stabilire delle regole di procedura, tutto era basato sull’esperienza di chi decideva come, quando e quanto rabboccare. Secondaria la tipologia del legno, generalmente in castagno o quercia. L’obiettivo principale restava l’ossidazione. La porosità del legno, invece, poteva favorire i processi ossidativi. Diverse dimensioni, il classico “carateddu” da 26 litri poteva durare fino a cento anni.

Degustazione
Il Perpetuo si presenta denso e di colore ambrato. Lo spettro olfattivo è ampio ed evoluto: è possibile riconoscere tabacco, caffè, cacao, scatola di sigari, frutta secca tostata, miele, cera, iodio e resina che vira su sentori eterei come smalto. L’ossidazione non è invadente e nobilita il naso. Lo speziato è prevalentemente dolce in alcuni casi piccante. Il fruttato è secondario e dato da albicocca appassita, carrube, datteri e fichi secchi e destinato a ridimensionarsi ulteriormente col prolungarsi dell’affinamento. Floreale e vegetale quando presenti richiamano fiori secchi ed erba secca. Sul finire in alcuni casi anche sentori di affumicato, cenere e caramello. L’ingresso in bocca è potente con una alcolicità importante che si confronta con acidità e sapidità estreme. L’ossidazione, in armonia, rende il sorso impegnativo, ma non difficile. La piacevolezza degli aromi di bocca si ripropongono in sequenza tutte le sensazioni olfattive, con grande coerenza. La piacevolezza si prolunga oltre ogni aspettativa ed appaga completamente.

La legge
Nonostante abbia caratteristiche che lo ricordano, il Perpetuo non è previsto nella Doc Marsala, la denominazione riservata a vini fortificati. La sua tipologia non è oggi normata.  Le partite più vecchie, per le quali non è possibile dimostrare quali vitigni siano stati impiegati e come sia stato prodotto, potrebbero essere catalogate come vino generico. Fosse possibile dimostrare che il vino è stato prodotto con un determinato vitigno, si potrebbe indicare il nome del vitigno e considerare come opzione la Doc Sicilia. L’assemblea dei soci della Doc Sicilia ha, tra l’altro, modificato il proprio disciplinare nel dicembre 2017 dando il via libera alla possibilità di produrre vini bianchi secchi da vendemmia tardiva con caratteristiche organolettiche tipiche della tradizione marsalese e della Sicilia occidentale. Quindi, un vino alcolico ed estrattivo con colori accentuati, profumi terziari derivanti da macerazioni sulle bucce e sapori tipici di vini ossidativi. Quasi un Marsala prima del Marsala.

FP


Si informa di un evento sul Perpetuo, il “Perpetuo Wine Fest“, in programma a Marsala dal 18 al 19 ottobre 2022. Organizzato da AIS Trapani e AIS Sicilia in collaborazione con Slow Food Trapani, prevede incontri-dibattito, masterclass e banchi di assaggio. Per informazioni:
https://www.wineinsicily.com/perpetuo-wine-fest-marsala
https://www.perpetuowinefest.it


Fonti

  • Giacomo Ansaldi e Bill Nesto, “Il Perpetuo, Coltivare il Sapere. L’antica tradizione del vino a Marsala” (evento), 24 maggio 2022
  • Tiziano Fantini, Il Vino Perpetuo (Tesi per Master Sommelier Alma-AIS in Gestione e Comunicazione del vino)
  • The World of Sicilian Wine, di Bill Nesto e Frances Di Savino / University of California
  • Storia Economica, “Il vino Marsala, un prodotto tipico A-Tipicamente italiano”, di Giovanni Ceccarelli e Alberto Grandi
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