Sassicaia e Bolgheri, una verticale alla soglia dei 50 anni

 

Pensato, nato e cresciuto per volere di Mario Incisa della Rocchetta, Sassicaia è riconoscibile tra migliaia. Venerato in tutto il mondo, la sua storia è importante e, allo stesso tempo, di incredibile leggerezza. Come lui. Prima di raccontare le 7 annate della verticale con Gianni Fabrizio al Merano Wine Festival 2017, qualche breve cenno su questa singolarità “toscano-bordolese” sulla soglia dei 50 anni dalla sua nascita.

la famosa etichetta del Sassicaia

la famosa etichetta del Sassicaia

Siamo in Toscana, a Bolgheri, in Maremma, tra Livorno e Grosseto, una zona paludosa dove storicamente non si coltivava la vite. Escludendo piccole vigne in uso per autoconsumo agli stessi contadini, furono da sempre considerati terreni enologicamente inadatti.

Qui, la famiglia nobile dei conti palatini Della Gherardesca possedeva circa 4.000 ettari, in parte ancora oggi di famiglia. Tenuta San Guido – così si chiama il podere che prende nome da San Guido della Gherardesca vissuto nel XIII secolo – si estende su una superficie complessiva di circa 2.500 ettari, 13 chilometri dal mare fin dietro le colline. Di questi, 90 ettari sono vitati, e 77 sono dedicati esclusivamente alla produzione del Sassicaia.

Ma il Sassicaia, non nasce per volere di un toscano, ma – dicevamo appunto – di un piemontese, il Marchese Mario Incisa della Rocchetta, consorte di Clarice Della Gherardesca. La sua grande passione per il vino gli fece preferire vitigni d’oltralpe, quelli di Bordeaux e dell’aristocrazia francese.

Un buon suggerimento gli giunse negli anni ’20 dai Salviati, che in quella zona avevano coltivato qualcosa, più che altro per proprio piacere. Questo dettaglio fu riportato da Luigi Veronelli perché documentato in una lettera del 11/6/1974. Il marchese gli spiegò: “…l’origine dell’esperimento risale agli anni tra il 1921 e il 1925, quando, studente a Pisa e spesso ospite dei Duchi Salviati a Migliarino, avevo bevuto un vino prodotto da una loro vigna sul monte di Vecchiano che aveva lo stesso inconfondibile bouquet di un vecchio Bordeaux da me appena assaggiato più che bevuto, (perché a 14 anni non mi si permetteva di bere vino) prima del 1915, a casa di mio nonno Chigi”.

Così, subito dopo la seconda guerra mondiale, impiantò cabernet sauvignon e cabernet franc. Le prime vigne andarono a dimora nella parte alta della tenuta, tra 200 e 300 metri. Fu un atto rivoluzionario: piantare vigne a cabernet in Toscana, a Bolgheri tra l’altro, delineava un’allarmante discontinuità con la tradizione.

Ma da quel momento in poi la scalata fu inarrestabile e il marchese ebbe conferma più che mai del valore di Bolgheri che, per terroir e clima, presentava caratteristiche riconducibili alle Graves (in francese ghiaia).

Dal 1948 al 1967, il Sassicaia rimase dominio strettamente privato, fu bevuto solo in casa. Ma ogni anno un po’ di casse venivano lasciate ad affinare nella cantina di Castiglioncello. Straordinariamente, ci si rese conto che con il passare del tempo il vino migliorava molto. Tanto che Pietro Antinori, con il quale era imparentato sempre dal lato della moglie, lo invitò a imbottigliare e commercializzare. Cosa che accadde nel 1968: la produzione totale del primo “bordolese” italiano si attestò sotto le 10.000 bottiglie. Nel 1972 si inserì un giovane (allora poco più che trentenne) e bravo enologo, Giacomo Tachis.

Non è nato… è diventato Sassicaia
La consacrazione non tardò ad arrivare. Il primo report internazionale giunse da Hugh Johnson, che negli anni ’70 lo collocherà nelle sue classifiche entro i primi 30 vini al mondo. Poi, nel 1985, il tripudio: 100/centesimi da Robert Parker. Quella etichetta, ancora oggi giovanile, è storia del vino d’Italia.
L’unicità è ravvisabile anche in un proprio disciplinare con tanto di denominazione di origine controllata, la “DOC Bolgheri Sassicaia”. Il Sassicaia è, infatti, il primo e unico vino italiano ad avere dal 1994 una DOC propria, costituendo, di fatto, un Grand Cru Monopole. Succede solo in Francia e per pochi vini celebri. Non è finita qui: l’affinamento, sempre secondo il disciplinare della DOC, è il primo in Italia che prescrive l’uso della barrique per un periodo minimo di 18 mesi (inizialmente di 20).
Già consulente in Sicilia per l’Istituto Regionale della Vite e del Vino, così come lo fu Tachis, Graziana Grassini è dal 2011 l’enologo di Tenuta San Guido. Formalmente è entrata nell’azienda un anno prima, nel 2010.


 

La verticale ha riguardato una batteria di otto annate: Guidalberto 2011; Sassicaia 2014, 2012, 2010, 2008, 2005, 2003, 2000. Il ricavato degli ingressi è devoluto, come tutti gli anni, al Gruppo Missionario di Merano per la realizzazione di un progetto in Africa.

Guidalberto 2011
Si tramanda che Mario Incisa della Rocchetta abbia tratto ispirazione da suo prozio Leopoldo (famoso ampelografo ed enologo ante-litteram, vissuto nel ‘800, che creò una vasta collezione di vitigni provenienti da altre regioni, sperimentandone la coltivazione nei propri possedimenti sulle colline di Rocchetta Tanaro) e, parimenti, pare che Nicolò suo figlio, attuale sovrano di Tenuta San Guido, l’abbia tratta da Guidalberto della Gherardesca, suo quadrisnonno. Guidalberto è, dunque, il deuxième vin dell’azienda, sempre un “supertuscan” (si indicano in tal modo i tagli internazionali-bordolesi toscani); a differenza del fratello maggiore, però, include il merlot. Per gusto, il Sassicaia è forse il più bordolese tra tutti i toscani, ma senza merlot, che invece ha il Guidalberto in quota 40%; mentre il resto è cabernet sauvignon. Di colore rubino brillante, evidenzia una struttura piena e rotonda con note di frutti di bosco e i tipici sentori tostati del caffè. Ancora giovane e teso è un vino potente e dal lungo finale. La prima annata, prodotta nel 2000, includeva il 20% di sangiovese.

Sassicaia 2014 (Doc Bolgheri Sassicaia, come tutti i seguenti)
Annata difficile da un punto di vista climatico, fredda e piovosa. In alcune zone della Toscana è stata persino disastrosa. A voler essere pignoli, però, la zona costiera è stata meno colpita. Il 2014 si propone, dunque, come un’annata fresca che ha prodotto vini di struttura intermedia. Frutti rossi e ribes accentuano le note aspre. Non è un vino potente, ma di misura. Bella progressione, il cabernet franc emerge con più energia di quanto ci si aspetta. Personalmente, in tutta la sua fragilità, è il vino che mi ha intrigato di più e che ricomprerei senza incertezze.

Sassicaia 2012
Intenso, espressivo, potente. I tannini sono avvolti nel frutto, un frutto che ne esalta tutta la giovinezza. La densità del vino è quasi rassicurante e, forse per questo, non appassiona del tutto. Gli accenni balsamici restano in secondo piano, c’è anche un indizio di vernice. Nel finale domina la sensazione asciutta, ma il tempo potrebbe ribaltare tutto.

Sassicaia 2010
Con il 2005 è il migliore di questa verticale. È una annata difficile e piovosa. Il naso mostra, infatti, un passo medio, ma di notevole seduzione. Le note verdi e balsamiche tipiche dei cabernet arrivano in tutto il loro fascino, si aggiungono cacao amaro e pellame. Elegante, è forte di carattere e, a tratti, quasi masticabile.

Sassicaia 2008
Bella annata e bella vendemmia. È una di quelle bottiglie che accontenta tutti, soprattutto critici e giornalisti d’oltreoceano. Frutta e spezie duettano, tra la polpa rossa c’è menta, caffè e ginepro. Poi, fiori secchi. In bocca è evidente la rotondità e l’equilibrio con i tannini, aggraziati e setosi. Bel finale pieno di energia.

Sassicaia 2005
Una vendemmia equilibrata, fresca, monolitica. A più di 10 anni dalla raccolta, vino e millesimo dimostrano il valore assoluto di questa etichetta. Forse il migliore di questa verticale. Al naso è ancora varietale, snello, agile. Si espande al naso con generosità, così come al palato, mostrando rigore e chiarezza espressiva. Eucalipto, erbe, frutti rossi, menta e cioccolato si susseguono in maniera ordinata. Asciutto e aggraziato, è grazie alla freschezza acida che esprime una bevibilità non usuale per vini così importanti. Lunghissimo.

Sassicaia 2003
Un millesimo non fortunatissimo che, pur notevole, esce affaticato a quasi quindici anni dalla raccolta. Non stupisca, l’annata non è stata equilibrata, l’estate persino torrida. Il colore granato riconduce al naso a sentori di confettura di amarena e foglie secche, ravvivate da bergamotto e liquirizia. Tannini sempre vivi. Manca un po’ di poesia, un “grande vino” normale.

Sassicaia 2000
Una annata di difficile lettura. La vendemmia è stata anticipata e mediamente calda. La premessa è utile per inquadrare un vino potente, strutturato, etereo, che adesso appare in glorioso declino. Tabacco e foglie secche si susseguono a sentori di spezie e amarena, con refoli di liquirizia, agrumi canditi e cacao amaro. L’aspetto evoluto ed animale prevalgono, i tannini emergono per asciuttezza. Un vino molto interessante proprio nell’ottica dell’evoluzione.

di Francesco Pensovecchio

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Nota sui suoli 
I terreni di Bolgheri hanno una grande variabilità in un ambito piuttosto ristretto.
Vi sono dei terreni alluvionali, di origine fluviale, con ciottoli tondi depositati dagli antichi corsi d’acqua. Vi sono terreni di origine marina, con sabbie eoliche, dei calcari e delle argille. E ancora rocce vulcaniche provenienti dalle Colline Metallifere ad est. Troviamo così suoli argillosi, argillo-sabbiosi o sabbiosi-argillosi, argillo-limosi, o completamente sabbiosi. Le riserve d’acqua e gli elementi nutritivi variano così di molto da una zona all’altra. Questi suoli si trovano disposti su terrazze a diversi livelli, cosicché la struttura generale riesce mediamente a mantenere l’umidità in profondità, restituendola nei periodi siccitosi.
Si possono individuare tre grandi zone: le colline, la zona intermedia e la zona più vicina al mare. Sulle colline si trovano i depositi alluvionali più antichi. L’alluvione ciottolosa è inoltre caratterizzata da una buona presenza di ossido di ferro. In basso i depositi fluviali sono più giovani e si mescolano, ad ovest, con quelli marini.

Altre cantine delle Doc Bolgheri
Ornellaia, Grattamacco, Macchiole, Guado al Tasso, Satta.

Una domanda a Gianni Fabrizio: “il Sassicaia è un fenomeno replicabile?”