C’è la Sicilia dei capperi di Salina, il cioccolato di Modica, il caciocavallo ragusano e la robiola di capra girgentana. Ma anche la Colombia con i suoi ingredienti e materie prime, come le formica “culona” e il cacao “macambo”, tutelati dalle comunità indigene.
La Colombia e la Sicilia si ritrovano così insieme a tavola, grazie all’amicizia di due donne, due chef, che identificano il cibo come un atto politico, un potente strumento di cambiamento attraverso il quale creare un impatto nella società. Viviana Varese, chef stellata del ristorante Viva-Milano, e la colombiana Leonor Espinosa, Leo, come la chiamano in molti, nominata migliore chef del mondo da THE WORLD’S 50 BEST RESTAURANT nel 2022, hanno deciso di incontrarsi in Sicilia e di farlo con una cena a quattro mani in un luogo che parla di una Sicilia magica, sospesa nel tempo, il Country House Villadorata.
Diversamente uguali, Leo e Viviana hanno molto in comune: la passione per la cucina che parla del territorio e al territorio, che dà voce ai piccoli produttori, il loro impegno nel sociale che si incrocia con i valori di sostenibilità.
“La mia cucina è sostenibile – commenta Leo Espinosa – perché rispetto e tutelo i piccoli produttori e sono portavoce delle loro tradizioni e delle materie prime da loro tutelate”.
“Sostenibilità è anche instaurare un dialogo sano con il personale di sala e cucina – continua Varese – scegliere le risorse umane attraverso il criterio dell’inclusione e tolleranza”.
Non solo slogan ma realtà concrete. La chef campana di adozione milanese, ha fondato Io sono Viva, la gelateria artigianale e pasticceria, nata in collaborazione con CADMI, il primo centro antiviolenza aperto in Italia. Con una squadra di solo donne, Io sono Viva ha l’obiettivo di supportare, ridare dignità e indipendenza economica alle donne vittime di violenza attraverso il lavoro.
Leonor, invece, insieme alla figlia Laura Hernández-Espinosa, cura diversi progetti sociali tramite la fondazione no profit FUNLEO, fortemente voluta dalla chef e oggi diretta dalla figlia. Tra gli scopi principali, FUNLEO vuole rivendicare e tutelare le tradizioni gastronomiche delle comunità colombiane e la loro biodiversità, a partire dal loro patrimonio biologico e immateriale.
La scelta di incontrarsi in Sicilia non è casuale. “La Sicilia come la Colombia ha una biodiversità unica e ricca, un patrimonio culinario che mette in primo piano il territorio e i suoi piccoli produttori-commentano le due chef. C’è una dimensione unica, selvaggia, con diversi microclimi. Sembra di vivere in un’età arcaica, sospesa nel tempo”.
Ad aprire la serata è il piatto della chef Leo “Atùn, hormiga culona, mañoco, miel de caña, alga de mar”. Il viaggio inizia subito dalla Colombia con la formica “culona”, la cui emulsione è preparata dal gruppo etnico colombiano Huitoto e che la chef ha voluto nel piatto di apertura insieme al tonno albacore dal Pacifico, prosciutto crudo, pennellata di zucchero di canna, farina di mañoco, accompagnata da un muschio marino e da alcuni germogli di felce. Il pairing scelto dalla figlia Laura, che è anche sommelier, punta alla Sicilia con un Terzavia Rosé di Marco De Bartoli.
“Sono affascinata dai vini siciliani, che trovo molto interessanti”, commenta Laura, che ha optato per un abbinamento al cibo con vini quasi esclusivamente siciliani.
Torniamo in Sicilia con Viviana Varese, che con equilibrio, eleganza, e creatività che la caratterizzano da sempre, prepara un “Pompelmo alla brace, ceviche di aguglia imperiale e variazione di capperi di Salina” e un “Calamaro spillo con patata alla cenere e limone di Villadorata”.
Pulsa forte il cuore dell’Amazzonia e dei suoi popoli nel piatto della chef colombiana “Macambo, hormiga cabezona, mucilago de cacao” abbinato con Vermouth Orange Naturale con cioccolato di Modica Sabadì “100 e Lode”.
Il macambo è una varietà di cacao originaria dell’Amazzonia. Con il seme tostato, la chef ha preparato un formaggio vegetale, mentre la mucillagine è diventata una sorta di sciroppo. A far rivivere le tradizioni culinarie delle comunità indigene c’è la formica “dalla testa grossa” dell’Amazzonia, il cui sapore è simile al cacao poiché vive vicino agli alberi di Macambo e Copoazú e si nutre dei loro frutti. In questa preparazione viene servita dopo essere stato arrostita.
C’è quasi una ricerca socio-antropologica nei piatti di Leo Espinosa. Non solo una grande tecnica contemporanea in grado di trasformare, senza stravolgerli, gli ingredienti locali, ma un racconto filologico che ha l’obiettivo di condividere una sorta di manifesto politico del cibo come espressione e tutela della biodiversità della Colombia. A raccontare ancora di questa biodiversità è il piatto “Cherna, chontaduro, balù” abbinato con un Lucido di Marco DeBartoli
Il balù o chachafruto, detto anche fagiolo d’albero, è stato utilizzato come salsa che ha accompagnato la cernia. Si tratta di un frutto ad alto contenuto proteico che pare sia stato l’unico nutrimento degli indigeni della valle di Sibundoy (Putumayo), durante la carestia nel 1915.
Non di solo mare vivono la Colombia e la Sicilia. C’è anche il profumo della terra che entrambe le chef hanno portato a tavola con “Trippa e pomodoro, pane croccante e lumaca di terra” e “Cerdo negro, frijol diablito””. Nel primo, la chef Varese ha fatto riemergere il profumo del sugo siciliano e della trippa locale mentre Leo Espinosa ha utilizzato il maiale Sabanero con fagioli della specie chiamata “diablito”, legume dal colore rosso porpora coltivato in Colombia nella zona di Montes de María.
Gran finale con due dessert :”Sorbetto di limone di Villadorata, manna e timo” “Gelatina de pata, coquindo, sal de manaure” accompagnati da Sole d’agosto di Marco De Bartoli
“La cucina del futuro è quella in grado di salvare la terra-conclude Espinosa. Il cibo è altro per me che legame con la cucina. È uno strumento potente con il quale diffondere messaggi importanti”- le fa eco Viviana Varese.
LR