Quanto è ricco il vigneto Italia rispetto a quello europeo? E quanto lo è quello siciliano rispetto ai primi due? La risposta non è scontata, riserva molte sorprese e, soprattutto, non può essere evasa con un dato numerico.
Una premessa. La vite da vino che oggi conosciamo è il risultato di migliaia di anni di evoluzione. Selezioni, mutazioni, ricombinazione genica, clima e manipolazioni dell’uomo, hanno determinato una numero sterminato di varietà di uve.
Oggi, però, c’è molto meno che un tempo e i prodotti che si trovano in commercio non si possono paragonare a quanto esistito in passato. Diverse le cause della perdita, mutamenti climatici, malattie, modernizzazione, necessità commerciali.
Dalla fillossera in poi
Per capire cosa sia successo, conviene partire da un piccolissimo insetto. Il momento buio della fillossera, parassita diffusosi dal Nord America in tutta Europa dopo la prima metà dell’800, per quanto risolto, ancora oggi non è del tutto superato. Il vigneto del vecchio continente, da quel momento in poi ricostruito dalla scienza per necessità, ha subito ulteriori profonde evoluzioni, stavolta dipendenti da motivazioni di tipo commerciale e di mercato. Le varietà, indicate dalla ricerca ufficiale e dalle autorità sanitarie da un lato, dall’altro suggerite dalla domanda dei mercati anglosassoni, hanno incanalato le energie della viticoltura verso posizioni da monocultura. I vitigni francesi, poi denominati “internazionali”, ad esempio Chardonnay, Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah e Pinot Noir, sono stati felicemente messi a dimora in tutto il mondo, coltivati e vinificati da Pechino a Melbourne passando per Santiago. Con conseguente perdita di fette di mercato nazionale e sovranità di prodotto.
Un’idea per distinguersi, la soluzione francese
Per mettere un freno al declino e alla perdita di identità, pare che la Francia abbia intenzione di fare un passo indietro di 150 anni. Sul nr. 159 di aprile/2016 della “Revue des Oenologues”, Olivier Yobrégat dell’Institut francais de La Vigne et du Vin (Istituto francese della vite e del vino) nell’articolo “Patrimoine ampélographique francais et cépages oubliés” lancia un accorato appello al recupero di vecchie varietà, compatibili con la tradizione, allo scopo di mettere un freno all’erosione genetica.
Olivier Yobrégat fa una denuncia precisa: dal 1953 a oggi, anno nel quale furono stabilite a livello normativo quattro categorie, le varietà raccomandate, autorizzate, tollerate e interdette (istituite in difesa della fillossera), c’è una erosione genetica velocissima. In altre parole, scompaiono vitigni. Delle 550 varietà conosciute, di cui 250 iscritte al catalogo nazionale, venti vitigni costituiscono quasi il 90% delle varietà coltivate su suolo francese. Estendendo il campione a quaranta vitigni, la percentuale raggiunge il 95% (vedi grafico). Da qui l’appello disperato.
Come porre rimedio all’erosione? Idea: ampliare le autorizzazioni a nuovi, anzi, vecchi vitigni, con le cosiddette “varietà reliquia”, ricostituendo parte del patrimonio ampelografico perduto. Vitigni minori, minimi anche nei numeri, ma in grado di dare nuovo interesse e frenare la perdita di biodiversità.
La Sicilia
Così, la Francia ha iniziato in questi mesi a porsi il problema del recupero delle varietà “dimenticate”, con tutte le difficoltà del caso. La Sicilia – invece – ha già affrontato l’argomento e si trova in posizione di vantaggio. Da tempo, infatti, ha intrapreso un complesso lavoro di recupero, peraltro ben documentato ed effettuato su basi scientifiche di ricerca (si veda “Identità e ricchezza del vigneto Sicilia” a cura di Giacomo Ansaldi, Dario Cartabellotta, Vito Falco, Francesco Gagliano, Attilio Scienza).
Ma ci sono altre, tante ragioni per affermare che in Sicilia c’è molto di più di un recupero di biodiversità tinteggiato da compiaciuto edonismo, che invece è il problema da cui partono i francesi. L’isola, per la combinazione di elementi storici, sociali e geografici, è stata per tre millenni uno snodo di diffusione della vite e del vino, suo principale prodotto. Genti e dominazioni che si sono succedute hanno contribuito a diffondere e scambiare materiale vegetale con i paesi del Mediterraneo. Ad esempio, nel periodo Normanno (1060-1195) in Sicilia si parlavano tre lingue, portatrici delle tre civiltà che l’avevano precedentemente dominata: greca, araba, latina, tanto che Palermo fu detta “Urbs felix, populi dotata trilingui”. Durante il periodo degli angioini, degli spagnoli e dei Borbone, si mantenne una viticoltura familiare finalizzata all’autoconsumo e alla conservazione delle varietà.
Passando al clima e ai suoli, la Sicilia è per certo uno tra i luoghi al mondo con un coefficiente di variabilità tra i più alti: zone aride, piovose, suoli vulcanici, sabbiosi, argillosi, calcarei e marine, hanno consentito ai vitigni introdotti nel corso dei millenni di diffondersi negli areali a loro più adatti. Per misurare ricchezza varietale e la variabilità climatica, basti pensare che la vendemmia comincia a fine luglio con i bianchi internazionali e si conclude a novembre sull’Etna.
La ricerca in Sicilia
La ricerca inizia nel 2003 su stimolo del Dipartimento interventi infrastrutturali dell’assessorato alle risorse agricole della Regione Siciliana. Il Dipartimento affidò alle Università di Palermo e di Milano ed all’Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetale di Roma il coordinamento scientifico ed il monitoraggio delle azioni operative del progetto di selezione clonale e di recupero dei vitigni antichi dell’isola.
Enorme la massa dei dati raccolti, probabilmente la ricerca più grande mai effettuata in questo settore: circa 7.000 piante controllate in tutto il territorio regionale, più di 480 vigneti indagati, 90 comuni interessati, oltre 2.600 test. Da questi dati sono stati selezionati circa 3.500 piante sulle quali è in corso la sperimentazione su campi di confronto e di omologazione realizzati presso Marsala (TP) e Comiso (RG). All’inizio del 2009, dopo un’attenta valutazione dei risultati ottenuti nelle micro-vinificazioni, si decise di concentrare l’attenzione su alcuni vitigni che presentavano delle variabili intravarietali che erano emerse già in fase di selezione e su quei vitigni di cui non si conosceva nulla, appunto, le reliquie. Per prima cosa si eseguirono tutti i rilievi in campo di tipo fenologico, ampelografico e produttivo, e successivamente le analisi sulle uve, che hanno portato alla determinazione dei profili.
Il risultato più importante rappresentato da 9 cloni già regolarmente omologati e da altri 13 presunti cloni delle diverse varietà in fase di omologazione.
La ricerca del profilo genetico delle varietà minori mira anche a ricostruire i rapporti parentali tra i vitigni siciliani e quelli di altre regioni dell’Italia.
Un esempio: il Sangiovese
Le relazioni di parentela tra le più importanti varietà italiane e le principali cultivar siciliane ha portato a considerare il Sangiovese una varietà che si presumeva provenisse dall’area tirrenica, connessa alla piattaforma ampelografica siciliana (si veda Di Vecchi Staraz e al., 2007).
Tra i 48 profili unici delle varietà siciliane analizzate, 7 tra i vitigni minori hanno evidenziato una relazione di parentela di primo grado con il Sangiovese: Arbanello, Bianca, Lievuso, Lucignola, Nerello mascalese, Orisi ed un’accessione di Visparola. Mentre, tra le varietà principali, oltre a Frappato, Nerello mascalese e Perricone (la cui parentela padre-figlio con Sangiovese era già conosciuta), il Carricante è stato identificato come una varietà avente un rapporto di secondo grado con Sangiovese. Ed ancora, il Lievuso è risultato essere progenie dell’incrocio Sangiovese-x-Montuonico, come pure il Nerello mascalese (si veda Gasparro et al., 2012). Dal momento che la zona di origine e produzione delle varietà connesse con il Sangiovese è l’area viticola dei monti Nebrodi, ne consegue che la Sicilia orientale è la parte della Regione maggiormente connessa al Sangiovese.
Passando a qualche numero, quantomeno per capire l’entità dell’argomento, sono 72 le varietà siciliane genotipizzate, tra principali e minori: Albanello, Alicante, Arbanello, Barbarossa, Bianca, Bracau, Carricante, Catanese nero, Catarratto, Cela-Cela, Cori di Palummo, Corniola nera, Damaschino, Dolcetta, Dunnuni, Franchitaddru, Frappato, Giugnaiola, Greca, Grecanico, Grillo, Inzolia, Inzolia bianca, Inzolia nera, Lievuso, Lucignola, Maiulina, Malvasia, Malvasia di Lipari, Marsigliana, Minnella nera, Minnella bianca, Montuonico, Moscato bianco, Moscato di Noto, Muscatiddruni, Muscatiddruni bianco, Muscatiddruni nera, Nerello cappuccio, Nerello mascalese, Nero d’Avola, Nocera, Orisi, Orisi 2, Orisi 3, Orisi 4, Perricone, Pignolo, Preventivo, Prunesta, Quattro rappe, Recunu, Recunu 2, Reliquia 6, Reliquia 37, Reliquia 38, Reliquia bianca 1, Reliquia bianca 25, Reliquia bianca 56, Reliquia nera 10, Reliquia nera 24, Reliquia nera 32, Signuruna, Tasta e lassa, Usiroto, Visparola 4, Visparola 62, Visparola 66, Vitrarolo, Vitrarolo 27, Vitrarolo 47, Zibibbo.
Riflessioni
A questo punto c’è solo una cosa da fare, ma occorre farlo presto: accelerare il lavoro di omologazione dei vitigni reliquia, trasferirlo ai vivai e chiudere il cerchio mettendoli a disposizione dei viticoltori e dei produttori di vino. Il rischio di bruciare questa ennesima, bella opportunità è alto. C’è in ballo la personalità dei prodotti, un cospicuo ritorno commerciale, la salvaguardia della biodiversità. Perché rinunciarvi? Anzi, su quest’ultimo aspetto, i cambiamenti climatici in atto potrebbero richiedere sforzi non immediatamente sostenibili; che invece la Sicilia ha già affrontato perché nei suoi geni ci sono secoli di mutazioni in un clima caldo. In altre parole, i genotipi siciliani potrebbero avere quella marcia in più perché possono tollerare condizioni climatiche estreme, quindi ideali per il miglioramento genetico. Insomma, è una chance imperdibile per la Sicilia.
Si ringraziano Alessio Planeta e Giacomo Ansaldi per l’intervista e il materiale fornito
Fonti e stralci di testo:
- Patrimoine ampélographique francais et cépages oubliés – Revue des Oenologues”, nr. 159 di aprile/2016, Olivier Yobrégat (Institut francais de La Vigne et du Vin)
- Identità e ricchezza del vigneto Sicilia, di Giacomo Ansaldi, Dario Cartabellotta, Vito Falco, Francesco Gagliano, Attilio Scienza. Tra gli autori: Lucio Brancadoro, Gabriella De Lorenzis in Caratterizzazione genetico-molecolare della piattaforma ampelografica siciliana; Nino Caleca e Rosaria Barresi in La Sicilia del vino e il Mediterraneo;
- DOC Sicilia, i vitigni reliquia, http://www.siciliadoc-continentedelvino.com
di Francesco Pensovecchio