Spumanti dell’Etna backstage. Intervista a Francesco Chittari

 

Tutti pazzi per gli spumanti. Ancor di più se le bollicine sono prodotte ai piedi del vulcano più alto d’Europa. Non una moda, un trend, ma un territorio, quello etneo, vocato alla produzione degli spumanti sin dalla fine dell’Ottocento. La riscoperta e la valorizzazione di questa tipologia di vino trova conferma nei dati: +60% nel primo semestre del 2023 per gli spumanti Etna Doc. A celebrare la passione per le bollicine, l’evento Spumanti dell’Etna ideato e organizzato dall’Associazione Spumanti dell’Etna, che si tiene ogni anno a Catania. Il presidente Francesco Chittari fa il punto sull’ultima edizione, sull’importanza di valorizzare e promuovere un territorio come quello dell’Etna. L’intervista.

Si è conclusa la quinta edizione di Spumanti dell’Etna, un evento che registra sempre più interesse e crescita. Qual è il bilancio di quest’ultima edizione?
Un bilancio più che positivo che conferma l’interesse crescente verso la tipologia dei vini spumante prodotti con metodo classico e le aziende produttrici. Quest’anno, per la prima volta, abbiamo modificato il programma integrandolo con le visite in cantina, in vigna, la cena di gala, i banchi di assaggio. La conferma è che si tratta di un format ormai di successo perché capace di promuovere un territorio, l’Etna i suoi vini, le sue aziende.

Quella tra l’Etna e le bollicine non è una storia recente. A fine ‘800 nasce proprio sull’Etna, con la produzione del Barone Spitaleri, il primo spumante metodo classico che allora si chiamava “Champagne”
Il barone Spitaleri del Castello di Solicchiata è stato un pioniere, poi costretto ad abbandonare la produzione a seguito dell’avvento della fillossera. Il territorio dell’Etna, senza dubbio, è un territorio vocato alla produzione di spumanti e vini di qualità. Si tratta di prenderne consapevolezza e di agire. Manca una profonda narrazione del territorio e una mancata valorizzazione di alcuni aspetti rilevanti per la storia dell’Etna. Come il lavoro svolto dai monaci dei Benedettini sulla produzione spumantistica. Padre Francesco Tornabene, che possiamo definire il Dom Pérignon siciliano, è stato un monaco benedettino a cui il mondo agricolo ed enologico deve tantissimo per le sue ricerche, oltre ad aver creato tra l’altro il primo spumante etneo, nella storica cantina situata all’interno del complesso del Monastero dei Benedettini, la prima di Catania.

Con l’approvazione della richiesta che porterà alla DOCG Etna, ci saranno due importanti novità nel disciplinare: la produzione di spumanti Etna DOC da uve di Carricante e lo spumante pas dosè. Che valore avranno queste modifiche?
Molti produttori stanno investendo sul Carricante perchè è l’uva più costosa sull’Etna, Lo spumante da uve  Carricante sarà valorizzato nella DOCG e avrà come conseguenza una interessante apertura di nuovi mercati. Lo spumante pas dosè conferma il trend e i gusti dei nuovi consumatori.

Quali sono gli elementi che rendono identificabile la produzione di spumanti dell’Etna
Oggi, gli spumanti dell’Etna vanno in questa direzione: valorizzare il vitigno, valorizzare il valore dell’azienda e quella del tempo. Sui tempi di affinamento, sono due i riferimenti maggiormente adottati: Nerello mascalese inferiore e superiore a 36 mesi, Carricante inferiore e superiore a 30 mesi Sul lungo affinamento le aziende stanno scommettendo molto. Nerello Mascalese e Carricante sono due vitigni ben adatti alla spumantizzazione:  entrambi hanno una buona spalla acida e da entrambi si producono vini di qualità. Il lavoro che premia la qualità è quello che inizia da una buona selezione delle piante.

Cosa devono fare i produttori, le associazioni, i consorzi, per continuare il lavoro di promozione dell’Etna e dei suoi vini?
L’Etna deve tenere fede alla sua identità, che è quella di un territorio esteso e variegato. Per non tradire la sua identità deve guardare ad un mercato di nicchia che possa apprezzare un lavoro di sforzo, legato alla viticoltura eroica, il cui risultato è quello di un prodotto dal costo medio alto rispetto ad altre zone. Il produttore etneo, secondo me, è obbligato a tenere alta la qualità piuttosto che a ragionare solo guardando a  logiche di business e  di mercato. Oggi lo sforzo dei produttori e delle associazioni del vino è quello di lavorare insieme verso un’unica direzione: produzione di qualità, valorizzazione, rispettare l’identità di un territorio e dei vitigni. Questo significa assegnare al vino il ruolo di ambasciatore di un territorio.

Catania, la città geografica di riferimento dell’Etna sembra vivere uno scollamento rispetto alla dinamica e vivace produzione vinicola etnea. Perché non pensare a fare di Catania una città del vino dell’Etna?
Lo scollamento è evidente a vari livelli: i produttori che investono fuori e meno in città, la politica che non sembra, fino ad ora, favorire una serie di elementi che possano rendere anche semplicemente  fisica la presenza della produzione etnea in città, a partire da un semplice info point. Bisogna creare un maggiore coinvolgimento tra il produttore e consumatore finale. A questo compito sono chiamati anche i comunicatori del vino il cui ruolo è importante nel costruire questo legame tra la città, i produttori e i consumatori.

di Liliana Rosano


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