Crescenzo Scotti, ischitano d’origine, ha trascorso in Sicilia ben cinque stagioni. Un lungo periodo su un’altra isola, quella di Vulcano, che lo ha visto protagonista di una evoluzione insospettabile della ristorazione di casa, alla direzione delle cucine del Therasia Resort. Tante attestazioni di merito, riconoscimenti, premi, non in ultimo la stella Michelin. Diversi stimoli e nuove sfide lo hanno riportato in Campania, e più precisamente a Ravello, presso Villa Cimbrone.
La capacità di cambiare marcia in velocità, l’emotività che si traduce in ossessione nel perseguire un obiettivo, il conflitto duale tra attacco e difesa, lo rendono un professionista oltre l’ordinario. A queste sue qualità, si aggiunga l’estro dello chef del Sud e il quadro è quasi pronto.
Una breve premessa sulla Costiera Amalfitana e su Ravello è doverosa: questo tratto di costa (Patrimonio Unesco) tra i più famosi al mondo, è da circa 300 anni l’ambita meta di molti facoltosi turisti, intellettuali, raffinati vacanzieri, chef, amanti dell’italianità e bongustai. Ogni anfratto ha una sua identità, una tradizione o caratteristica microclimatica, e uno stile del tutto personale nel “sorridere” o “dare il buongiorno”. Basta un attento sguardo per appagare i sensi, grazie ai succulenti limoni, le squisite alici, le ceramiche, i vini e prodotti caseari, pezzi fondamentali di arte e di storia gastronomica della penisola.
Su questo telaio, Villa Cimbrone è un complesso storico costruito su un promontorio roccioso a picco sulla Costiera. Cimbronium è il toponimo sul quale, forse, sorgeva una villa romana. Il parco che lo circonda si estende per sei ettari: un giardino immenso e di rara bellezza, ornato da statue, fontane e grotte che culminano in un belvedere delineato da busti marmorei, denominato la “Terrazza dell’Infinito“. Da qui si scruta il mare dall’alto, una veduta difficile da rappresentare solo a parole. Tra le descrizioni più belle, forse, quella di Gore Vidal: “Mi fu chiesto da una rivista americana quale era il luogo più bello che io avessi mai visto in tutti i miei viaggi, e io ho risposto: il panorama del belvedere di villa Cimbrone in un luminoso giorno d’inverno, quando il cielo e il mare sono così vividamente azzurri che non è possibile distinguerli l’uno dall’altro”. Nei primi del ‘900 la proprietà fu acquistata da un nobile banchiere britannico, Ernest William Beckett, 2° Barone di Grimthorpe, che la trasformò in residenza fortificata da torrini, creando uno stile misto tra quello arabo, il gotico e il veneziano.
Il sentiero principale, il Viale dell’Immenso, è protetto da una pergola naturale, tinteggiata dal bianco e blu dei glicini in piena fioritura. I giardini stessi sono adornati da templi, gruppi statuari e da altre ricreazioni dallo stile classico e di particolare valore storico monumentale. Al loro interno ci si perde ammirando la bellezza della Statua di Cerere, situata in un piccolo tempio adiacente al belvedere; il Poggio di Mercurio; il Tempietto di Bacco; la Terrazza delle Rose, che si trova solo a pochi passi dalla villa; e la “Tea Room”, un giardino rettangolare adiacente a quello delle rose, che comprende un gazebo in stile moresco composto da quattro colonne d’epoca romana. La “Grotta di Eva” è da sindrome di Stendhal: sorpresa nella sua intimità dagli sguardi curiosi dei visitatori, impressiona nella sua finezza esecutiva, sbocciata dalle mani di Adamo Tadolini, allievo prediletto di Antonio Canova. Imperdibili.
Come imperdibile è la cucina di Crescenzo, che della Sicilia nel menù ha mantenuto alcune preziosità. Il Flauto di Pan, fiore all’occhiello nonché firma di Villa Cimbrone, si sviluppa su due livelli, uno dei quali gode di una magnifica terrazza con vista sulla costiera. Il ristorante può ospitare comodamente circa 36 coperti, mentre gli appartati angoli del giardino, come la Terrazza sull’Infinito, fanno da perfetto scenario per cene esclusive o strettamente romantiche. Il set è ricercato, non mancano l’argenteria tirata a lucido e i modi inglesi del personale in abito scuro, sotto la scrupolosa guida di Eduardo Apostolo. La giacca è quasi “imposta” dal contesto. Gli ospiti, al 90% inglesi e d’oltre oceano, la indossano e le mesdames sono in abito da sera. La scelta delle portate non è un passaggio complesso. Dal menù, scritto su una bella carta di Amalfi, traspare autenticità e gusto. Il “cestino” del pane apre le danze da subito. Al suo interno predominano la carta musica al rosmarino e i grissini all’olio al lievito madre e finocchietto. A fianco, tre tipi di “tartellette”, alla mandorla con mascarpone di bufala, caviale di mirtilli; alle nocciole di Giuffoni, blue di Jersey, ribes rosso; e un taralluccio napoletano al pepe e burro alle alici di Cetara.
Il menù. Immancabile il cappuccino d’astice omaggio a Massimiliano Alajmo. Ma ecco “il pomodoro… La mia caponata…” e “La nostra pizza montanarina con crudo di scampi al lime, burrata e pomodoro Corbarino”. Quest’ultimo è un morbido trionfo, una soffice mini pizza con un top di burrata e crostacei crudi. È preceduta, un’amuse-bouche, da una capasanta con gazpacho di fragole e caviale di cetriolo.
Tra i primi vanno subito considerati i risotti per i quali Crescenzo si è rivelato un gran maestro. Ce ne sono due, il “risotto Acquarello come una bruschetta” e, quello che ho assaggiato, il “risotto Carnaroli con Gamberi Rossi pesca Tabacchiera e bergamotto”. Morbido, quasi burroso, avvolto dai profumi della pesca – tradizionalmente coltivata in Sicilia nella zona etnea – è giocato sull’aromaticità della frutta, dell’agrume, e sulla perfetta tensione dei chicchi del risotto. Poi, i “cappelletti di semola di Benedetto Cavalieri con ragù di seppia al nero di vellutata di cavolfiori allo zafferano”. L’altro primo è semplicemente esclusivo, “spaghettoni di Gragnano all’aglio nero e olio con frutti di mare e battuta di scampi, gamberi e calamari”. Perfetta la combinazione tra l’aglio nero, fermentato dunque delicato e digeribile, e l’emulsione di frutti di mare. La battuta di gamberi e calamari è un condensato di mare.
E ancora, i “Paccheri di Gragnano con ragoût di totano e baccalà, salsa di friarielli e provola”. Qui i paccheri son in piedi, finemente panati con polvere di pomodoro, la provola è quasi fusa, i friarielli in salsa verde danno un piacevole brivido. Un piatto davvero attraente.
Si prosegue con i secondi e torna la Sicilia con il maialino nero e il cioccolato di Modica sull’agnello. Ma andiamo con ordine. Gli amanti della famiglia degli Scombridae apprezzeranno il Tataki di tonno rosso con sedano e zenzero. Una preparazione golosa e minimalista. Il “Carrè di agnello di Laticauda ai foie gras, mela Annurca e salsa al cioccolato di Modica” è un piatto fine, giocato tra le pieghe dei dettagli. Il “Maialino nero con fichi secchi e rosmarino”, la cui texture ha una consistenza pressoché perfetta con le essenze frutto-balsamiche, è accompagnato da una spuma calda di senape e verdure in crosta.
È il momento dello special, la spuma di acqua di pomodoro in trasparenza e calamaro scottato in foglia di limone. Elegantissimo, mediterraneo, divertente, chic, è il piatto che vorrei tornare ad assaggiare.
Il pre-dessert tiene alto, anzi, altissimo il mio entusiasmo, la “sweet caprese al pesto di basilico, sale e olio affumicato” è la profumata celebrazione del tricolore verde-bianco-rosso. Due i dessert che mi sottopongono Crescenzo e lo chef patissier Alessio Pietropaolo, “mousse al limone con bianco di capra, croccante al timo e gelato al cappero” (riecco la suggestione delle Eolie e di Vulcano!) e la “Caprese, arancia e le sue geometrie di fondente” con un Valrhona al 70%. Genuinamente splendido. Si chiude con un buon caffè e petits-fours.
Per gli abbinamenti, l’onere è in mano al sommelier Arturo Terminiello che ha scelto per la cena alcune etichette del territorio, con qualche variazione. Apertura Champagne con il Brut “Cuvée Saint Pètersbourg” di Veuve Clicquot. Poi, il Doc Costa d’Amalfi- Ravello 2016 di Marisa Cuomo; il Doc Costa d’Amalfi, Tramonti Rosato, Getis 2012 di Reale; il Doc Recioto di Valpolicella Classico di Antolini; il Ragis rosso 2011 di Le Vigne di Raito; il Tintore Prefillossera, Èiss 2011 di Tenuta San Francesco, un vino di enorme fascino. Chi vuol farsi ispirare, vada in cantina, merita una visita anche quella.
È mezzanotte e la scarpina di cristallo è ancora lì. Sarà stata la melodia ipnotica di Pan o la brezza di Ravello, non ha importanza. Tempo e spazio sono fermi.
Francesco Pensovecchio
p.s. Un particolare grazie alla proprietà, a Giorgio Vuilleumier e alla sua famiglia
Villa Cimbrone
Via S. Chiara, 26 – 84010 Ravello (Sa)
T. +39 089857459
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