Se ne parla Congresso di Assoenologi, a Verona dal 2 al 5 giugno scorsi. Il titolo è dichiaratamente provocatorio, ma lascia filtrare – questo è indubbio – una forte richiesta di vini buoni e sani prodotti da una agricoltura sostenibile, dall’altro una diffidenza di principio verso la ricerca scientifica e la manipolazione in laboratorio di materiale genetico.
L’argomento è stato brillantemente trattato dal prof. Attilio Scienza, ordinario di viticoltura all’Università di Milano: “La viticoltura è davanti ad una svolta storica, come quando più di un secolo fa si trovò ad affrontare la crisi portata da malattie “americane” come la fillossera e l’oidio. Ma dobbiamo cambiare pagina: qui non si tratta più solo di integrare le conoscenze del passato, ma di guardare a cose nuove, come il miglioramento genetico per combattere fenomeni come il cambiamento climatico, e per la lotta alle malattie. Ma la grande difficoltà, in questo senso, è superare la paura “antropologica” che c’è nei confronti della genetica stessa. Dobbiamo spiegare ai consumatori, ma anche ai produttori, che è una grande prospettiva e non un pericolo o una speculazione”.
Per spiegare il punto, Scienza utilizza il paradosso della nave di Teseo, secondo cui la nave sulla quale viaggiò l’eroe greco, al fine di essere conservata, subì nel tempo la sostituzione di quelle parti che si andavano degradando. Così, benché la nave conservasse esattamente la sua forma originaria, tutte le parti furono sostituite. Dice: “… è quello che ora deve succedere alla viticoltura e alla ricerca applicata al vino, perché solo così, guardando al nuovo, possiamo rispondere in modo efficace alle sfide dei nostri tempi e anche alle richieste dei consumatori (perché il vino è fatto per essere venduto), che chiedono prodotti realizzati in maniera sempre più sostenibile per l’ambiente e più naturali”.
Il paradosso da superare: “molte persone, anche per l’alto valore simbolico che ha il vino nella nostra cultura, hanno un rifiuto della scienza, per il nuovo. Eppure è solo attraverso la ricerca, attraverso lo sviluppo di nuove varietà resistenti di vite, o di portinnesti, che possiamo eliminare, o ridurre, la necessità di ricorrere a trattamenti con prodotti contro funghi e malattie della vite, limitare il consumo di acqua e così via”. “Lo strumento più potente, che è anche quello che fa più paura, è quello della genetica. O meglio della cisgenesi – ribadisce Scienza – che non è transgenesi, perché lavora sui geni della vite, e non di altre specie. Questo consente di accelerare quello che è successo e succede in natura con le mutazioni spontanee. E quindi di arrivare in tempi più brevi a varietà resistenti perché si aggiunge una parte di DNA di un’altra varietà di vite (…)”.
Qualcosa, in questo senso, è stato fatto, come raccontano progetti come quello coordinato dall’Università di Udine, che di recente ha registrato nuove varietà di vite da vino resistenti alle malattie (Fleurtai, Soreli, Sauvignon Kretos, Sauvignon Nepis, Sauvignon Rytos, Cabernet Eidos, Cabernet Volos, Merlot Khorus, Merlot Kanthus, Julius), o come quello coordinato dall’Università di Milano con nuovi portinnesti che migliorano la gestione idrica, della salinità e della mineralità.
“Quello sui portinnesti – aggiunge Scienza – è un altro campo importantissimo, dove la ricerca per decenni si è fermata a quanto fatto ad inizio 1900. Sebbene in Italia esistano 39 varietà registrate, in sostanza se ne usano soltanto sei”.
La ricerca applicata al vino, che Italia ha i suoi centri di eccellenza, può e deve cambiare passo: “Dobbiamo crederci di più e superare velocemente queste resistenze culturali, perché i tempi della ricerca sono lunghi, e non si può perdere altro tempo. Per arrivare alle nuove varietà resistenti, con l’Università di Udine, il progetto è partito nel 1998, e ci abbiamo messo quasi 20 anni. Ma le questioni da affrontare sono tante. Dobbiamo abbassare il più possibile l’uso di trattamenti e farmaci in vigna, per i consumatori, per chi ci lavora e per chi vive nei territori vitivinicoli; dobbiamo abbassare i costi di produzione e lottare contro l’invecchiamento ed il deperimento del patrimonio genetico di alcune varietà di vite che è in atto. E aprirci al nuovo, nuove frontiere e filoni di ricerca. Come quello, per esempio, sul germoplasma della vitis vinifera di provenienza orientale, studiando il quale abbiamo trovato tante varietà interessanti totalmente resistenti a peronospora, oidio e legno nero, per esempio. Ma c’è anche i filone della “biomimetica”, una nuova disciplina che ci consente di capire cosa c’è all’interno di una pianta che si è evoluta in 3 miliardi di anni, e di cercare nel suo patrimonio genetico quei geni che le hanno permesso di adattarsi al cambiamento e di sopravvivere alle malattie. Ma serve una grande, nuova consapevolezza, e un atto di coraggio”, dice il prof. Scienza. Che chiude con un appello: “mi rivolgo non solo a noi scienziati, ma anche agli enologi, ai produttori, a chi il vino lo vende. La scienza è una opportunità e non un rischio, e questo va comunicato al pubblico. Spiegare che non è una scorciatoia di comodo, ma una prospettiva reale. In Inghilterra si sono inventati il format “Pint of Science”. Gli scienziati vanno nei pub e, davanti ad una birra, spiegano quello che fanno in modo semplice ed informale alla gente. Mi piacerebbe molto che qualcosa di simile lo facessimo anche noi, ovviamente davanti ad un bicchiere di vino”.
fonte winenews