Esiste al mondo un luogo più internazionale della Sicilia? Forse, ma provarlo sarebbe arduo. L’incalzare serrato di popoli, etnie e conquistatori negli ultimi 4.000 anni – quelli di cui possiamo ragionevolmente avere tracce – lascia pochi dubbi sulla vocazione all’accoglienza dell’Isola.
Tra i suoi ospiti più illustri, ve n’è uno che di “internazionale” ha tanto. Si tratta della vitis vinifera, una pianta che (pare) dal Caucaso si è diffusa, anche attraverso la Sicilia, in tutta l’Europa occidentale; poi, negli ultimi tre/quattro secoli, nel mondo. Infatti, escludendo l’Antartide, possiamo affermare che la vite è presente in tutti i continenti.
Da Pachino alle bianche scogliere di Dover, dalla Napa Valley in California a Blenheim in Nuova Zelanda, dalla regione di Ningxia, nel centro della Cina occidentale, nei pressi del deserto dei Gobi, al Sud Africa, la vite si è adattata a qualsiasi situazione pur di compiacere il suo più potente alleato e amante: l’uomo.
Chi la coltiva ne apprezza la squisita bontà dei frutti, sempre diversi, la capacità di sintetizzare nel gusto l’essenza dei luoghi, la sensibilità ma anche l’incredibile resistenza alle differenze climatiche, la capacità di viaggiare, di mutare lasciandosi alle spalle il passato, l’età, molto simile a quell’uomo, e, soprattutto, la capacità dell’uva di essere la base di una bevanda le cui proprietà sono socializzanti e, in moderata dose, terapeutiche. La venerazione dell’uomo per la vite ha raggiunto vette tali da farle assumere un valore ultraterreno. Fare degli esempi non credo sia necessario.
Ora, se è vero che la Sicilia è ancora oggi un luogo di incontro di civiltà e se è altrettanto vero che un l’uva è simbolicamente espressione universale del rapporto simbiotico uomo-pianta-terra, tant’è vero che alcune varietà sono – oltre il proprio nome – denominate internazionali proprio per evidenziarne l’appartenenza globale, ebbene, quale visione oscurantista dovrebbe limitare un agricoltore nello sperimentare liberamente il suo rapporto con la terra?
Nella nostra indagine “vitigni autoctoni / vitigni internazionali” abbiamo intervistato Mattia Filippi, enologo trentino, fondatore di Uva Sapiens con base in Sicilia.
D. Mattia cosa pensi dei vitigni internazionali, ad esempio dello chardonnay e del syrah?
R. Sono due vitigni plastici, adattivi, di grande qualità. Diciamo questo: quella Sicilia del vino che oggi fa parte dei migliori brand italiani, e che ha nei rating mondiali dei posizionamenti molto importanti, si è fatta conoscere proprio grazie ai vitigni internazionali. Il fatto che oggi si porti avanti una valorizzazione dei vitigni autoctoni – e io ne sono un sostenitore – è giusto, ma non vuol dire che tutto il resto non va bene. Anzi. I vitigni internazionali possono dar luogo a dei grandi Classici. Aggiungo un’altra cosa: se dobbiamo parlare di vini di valore nel mondo e che hanno come ingrediente fondamentale il Tempo, sono proprio alcune varietà internazionali che hanno dato il meglio di sé. Questo, ovviamente, non toglie nulla all’importanza degli autoctoni e al potenziale che hanno, anche nella capacità di evolvere positivamente. Non toglie nulla al percorso fatto dalla Sicilia in questi ultimi anni.
D. Il pubblico ha spesso difficoltà a seguire questo ragionamento
R. Lo posso capire, credo che il vino non debba essere omologato da chi lo produce, e nel contempo il vino non debba costringere i consumatori ad omologarsi a poche esperienze. Ma per provare a spiegare l’eterna diatriba tra autoctoni ed internazionali ti voglio fare un esempio musicale. Possiamo essere dei grandi sostenitori ed appassionati di autoctoni originali come Carmen Consoli o Franco Battiato. Ma gli internazionali Queen rimangono i Queen, un grande classico, sempre attuale. Qualcosa che è stato grande, seppur classico o apparentemente non più di moda, rimarrà e potrà continuare ad essere grande anche se passano gli anni. Il vero cultore, nel vino come nella musica, credo possa apprezzare entrambi, autoctoni e internazionali.
D. Un esempio concreto?
R. Nel mio lavoro e nei progetti che porto avanti in tutta Italia, sono sempre stimolato a pormi delle domande, per migliorare, per evolvere. Qualche anno fa, coltivando e producendo il mio Cabernet Sauvignon in Trentino, mi sono posto questa domanda: un vino prodotto con uve autoctone è migliore rispetto ad altri a prescindere in quanto autoctono? O è più importante ciò che realmente un vino esprime e rappresenta, attraverso la miglior interpretazione territoriale e produttiva, indipendentemente se autoctono o internazionale? Quesito complicato? Forse si, provo a spiegarmi meglio. Era più vero, originale, autentico, espressivo, il vino ottenuto da quella vigna di cabernet sauvignon che si trovava in quel terreno collinare da 40 anni, che nel tempo ha raggiunto un equilibrio assoluto con il contesto pedologico e climatico, con la capacità di raggiungere delle maturazioni fenoliche mai viste in altri territori italiani? O era più vero, originale, autentico, espressivo, il vino ottenuto da una vigna di Teroldego di 3 anni, piantata su una bonifica industriale dove precedentemente si producevano lavatrici? Voglio dire, non è possibile ragionare per preconcetti, non si può escludere a priori un vitigno a vantaggio di un altro. È giusto valutare caso per caso, è giusto conoscere, è giusto avere consapevolezza.
D. Secondo te come si evolverà la situazione in Sicilia nei prossimi anni?
R. Credo succederà ciò che sta succedendo nel mondo, ci sarà un sapiente ritorno alle varietà internazionali, continuerà ad esserci l’affermazione di varietà autoctone e l’introduzione di nuove varietà, come quelle resistenti (PIWI ndr). Questo succederà in Sicilia, come in Italia e nel mondo. La vera rivoluzione sarà quella di affermarsi sempre più attraverso Vini di Territorio, siano essi regionali, di paese, di contrada o Cru Single Vineyard, indipendentemente dalle varietà che li generano. Spetterà quindi alla sensibilità del produttore, alla sua capacità interpretativa, alla sua voglia di sperimentare. Saranno vini unici, irripetibili, impossibili da omologare e copiare in altre parti del mondo. E il vero giudice continuerà ad essere il tempo, lo è stato in passato per i vini che hanno reso grande la Sicilia, lo sarà in futuro per quelli che verranno.
FP
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