Vuarìa, un Nero d’Avola dell’Occidente arabo-normanno

 

Il Nero d’Avola in Sicilia è come il dialetto: è parlato in ogni angolo dell’isola, la matrice è la stessa ma ogni territorio ha un suo lessico, una cadenza unica che ne segna l’appartenenza ad un territorio preciso.

L’uva a bacca nera Nero d’Avola è così diffusa da Oriente ad Occidente che può essere considerata il vitigno autoctono bandiera di Sicilia ed in ogni terroir sono le sfumature a fare le differenze.

Vuarìa dell’azienda Feudo Disisa è un Nero d’Avola in purezza che affonda le radici nella parte occidentale della Sicilia. Il nome deriva dall’omonima contrada, dal dialettale “Vuarìa”, il ricovero dei buoi sicuramente insistente in questo territorio in tempi remoti.

In etichetta appare la denominazione Monreale DOC. Protegge un paesaggio siciliano dal sapore medievale e antico. La famiglia Di Lorenzo ha arricchito le originarie colline di pascoli e seminativi del Feudo Disisa, nome attribuito all’epoca di dominazione araba-normanna, probabilmente Disisa è un appellativo riconducibile alla parola araba azizcioè “splendido, potente”: uno scenario di lussureggianti oliveti e vigne che oggi come allora rappresentano un luogo di eccezionale fertilità e suggestivi paesaggi.

Insignita del premio “5 Star Wines” l’annata 2015 mantiene i 91 punti stabili conquistati già con la 2013 che ha anche avuto la Medaille d’Argent al Concours Mondial de Bruxelles del 2018, Vuarìa ha portato a casa i prestigiosi 4 grappoli della Guida Bibenda con l’annata 2012.

Nella particella di Grisí si allevano le vigne di Nero d’Avola con cui si produce questo cru che prima di arrivare in tavola affina 14 mesi in rovere francese e 1 anno in bottiglia.

All’apertura della bottiglia scorre un vino dal colore impenetrabile in tonalità rosso rubino, la roteazione del calice suggerisce immediatamente una strutturata consistente, dotata di profondità.

Il naso si apre in complessità: nell’annata 2015 note di frutti a bacca rossa si mescolano a cenni di caffè e carrube tostate, chiude una spunta che ricorda la ceralacca segnale di un terziario emergente e di una certa evoluzione.

In bocca il tannino si stende con eleganza come un velluto, il sorso avvolge il palato con una texture materica che rimane fine e fitta e assaporando il vino è percepibile una piacevole sapidità che allunga la persistenza.

Abbinamento suggerito: mezze maniche con ragù di lampuga, ottimo anche con carni e funghi del territorio.

di Valeria Lopis

 

Scritto da