La Dea Vulcano di Donnafugata, il vino e il mito

 

Tra le visioni più lucide dell’enologia siciliana c’è quella di Donnafugata che, anche se di casa nel trapanese, a Marsala, ha intuito il potenziale dell’Etna e raccolto con coraggio il guanto della sfida. Il suo impegno sbalordisce per rapidità di esecuzione, oltre che per chiarezza di pensiero. In pochi anni, abbiamo verificato ben sei etichette DOC, tutte prodotte sul vulcano. Tre i vini della linea “Sul Vulcano”, gli Etna bianco, rosato e rosso, due vini di contrada, i Cru “Marchesa” e Montelaguardia (“Furore”); e, in ultimo, il vino di cui vi parleremo adesso, il “Dea Vulcano”, presentato poche settimane fa.

Dea Vulcano è prodotto sul versante nord, da vigneti giovani tra Randazzo e Castiglione di Sicilia, l’altitudine 700 metri sul livello del mare. I vitigni sono quelli da disciplinare, Nerello Mascalese in prevalenza e Nerello Cappuccio.

Dea Vulcano Donnafugata

La vendemmia è la 2018, una annata climaticamente regolare, tipica del fronte nord. Le piogge, cadute tra metà di agosto ed i primi di settembre, hanno permesso una maturazione regolare e prolungata, anche nelle successive settimane durante le quali non ha piovuto per nulla. La vendemmia ha avuto luogo tra il 5 ed il 12 ottobre. Dopo la fermentazione, svolta in acciaio, è seguito l’affinamento in vasca di cemento, poi in legno e infine in bottiglia.

Il colore è rosso rubino con bagliori granato. Al naso, centrato anche grazie alla giovane fibra dei vitigni e alle classiche spigolosità del territorio, si mescolano piccoli frutti rossi, erbe silvestri e refoli minerali. Al naso è piacevole, fresco, i tannini sono levigati ed in equilibrio con il corpo.


Sul mitoDea del Vulcano”, vale la pena di spendere qualche riga: una versione popolare racconta del ruolo decisivo della ninfa Etnadurante lo scontro tra il gigante Tifeo e Zeus. Il gigante, metà uomo metà animale, con la testa d’asino, ali di pipistrello, due draghi sputa fuoco al posto delle gambe e cento serpenti sulle spalle, lottava contro Zeus così come lo contestavano i “fratelli” titani. Nel tremendo scontro, Zeus sta soccombere, ma interviene Etna che riesce a immobilizzare con il corpo Tifeo sotto l’isola. In alcune rappresentazioni dedicate al mito, infatti, il gigante regge l’isola in posizione supina, con le braccia distese e le mani a sorreggere due capi opposti – Peloro e Pachino – mentre i piedi si congiungerebbero su “Lilibeo” (Trapani). La testa, invece, è sotto il vulcano e dalla bocca fuoriescono lava e fiamme. I tremori sono quindi dovuti alla sua ira, con la quale invano tenta di ribellarsi al proprio crudele destino.

Il corpo della ninfa e le eruzioni del gigante, conseguentemente, generano una terra particolarmente feconda e ricca di frutti e vegetazione.

La conclusione va oltre il mito: è una immagine femminile di grande energia e coraggio, che – per quanto madre – non si piega alla figura maschile. Fiera e agguerrita, è in grado di dare la vita, proteggerla o persino toglierla.

www.donnafugata.it


 

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