Quel Pinot Nero immenso come la Sicilia

 

Trovo – a distanza di 18 anni dai primi ricordi – una bottiglia di Boschetto Rosso, un Pinot Nero dell’azienda Barone Arnaldo Spitaleri di Adrano (Etna, Ct). Ricordo, e ritrovo, un articolo di Luigi Veronelli pubblicato su Agrodolce, la rubrica del Corriere della Sera da lui condotta sino al 2004, anno della sua scomparsa.

Boschetto Rosso Spitaleri

L’etichetta del Boschetto Rosso 2010

All’epoca mi aveva colpito molto. Parlava di Etna, di Sicilia e di Pinot Nero. Poi, di politica, di Stato, di arance, di pesche, di tribunali e di de-co, le denominazioni comunali. Solo lui era capace di raccontare in questa maniera. Con mezzo articolo era capace di conferire al vino un immenso valore, alla persona, al luogo. Erano anche altri tempi.

Nel bicchiere mi resta il profumo – tra mille dubbi e domande – di questo Pinot Nero Boschetto Rosso “Pinetna” 2012. E’ uscito sul mercato circa un anno fa, i Baroni Spitaleri di Muglia lo producono dal 1855 (casualmente l’anno di classificazione ufficiale dei vini di Bordeaux). La vigna, sul vulcano Etna a 1.000 metri di altitudine, ha oggi 23 anni, gli ettari di pinot noir vitati sono 35 (!), la produzione di Boschetto rosso 25.000 bottiglie (?!), il prezzo € 18,00 (!!).
So già, in ogni caso, che tutte queste mie domande non avrebbero risposta. Questa cosa, in fondo, mi piace e vorrei restasse tutto così. Alle parole di Veronelli non mi sento di aggiungere nulla.

Note tecniche del produttore
Vigneti terrazzati ad alberello con una produzione di meno di 180 grammi di uva per pianta. Vendemmia a mano. Vinificazione in tine troncoconiche di legno di rovere, seguita da due anni di maturazione in botti di rovere francese (Allier e Tronçais) e tre anni in bottiglia.

Commento dell ‘enologo
La passione per i nobili vitigni francesi del Barone Felice Spitaleri, mio avo e fondatore della casa vinicola, ci ha ispirato a far rinascere questo vino. Fu infatti Felice il primo a piantare queste uve nella tenuta a metà dell’800 e la complessità assoluta ottenuta è il risultato dell’adattamento di questa varietà ad un terroir vulcanico veramente unico. (Arnaldo Spitaleri)

FP


Agrodolce – Corriere della Sera

“Quel Pinot Nero immenso come la Sicilia”

di Luigi Veronelli

Assaggio il Pinot Nero etneo 1993 (così nell’etichetta «a mano») e mi sovvengo di alcune parole già scritte: «non v’è regione più adatta della Sicilia, a produrre vini immensi. Quelle vigne partecipano ai fatti — nota bene: sia quelli eccelsi che i miserrimi — di migliaia di anni. Ne hai vini carichi di fascino, anche per le tensioni».

All’assaggio cieco avrei individuato il vitigno, pinot nero, e pensato ad uno dei cru migliori di Borgogna, per l’immensità dei contenuti e per la sfericità, ignoti in ogni altra parte, del globo terracqueo. Ma no, che in lui senti una maggiore e più contesa complessità. Un ardimento ed un orgoglio nuovi e possanza, anche nei profumi (sì di sottobosco, ma ci avverti un passaggio rapido e – non punitivo – ìgneo). Mi è stato inviato — su consiglio di Giacomo Tachis, sommo enologo — dal dottor Vincenzo Melia, coordinatore settore tecnico sperimentale dell’Istituto regionale della vite e del vino. I dati dicono: prodotto in Castiglione di Catania, 350 metri s.l.m., terreno di origine vulcanica, età del vigneto 5 anni. 65 quintali ad ettaro, elevato 15 mesi in carati. Obbuondio se si cambia.

Ciò che ho detto per i vini vale per ogni altro prodotto della terra. Stassentire: Enzo Bianco è un politico; come tale fu eletto sindaco di Catania; come tale è ora ministro degli Interni («anarchico angelo di Chagall», m’è facile dare al politico una connotazione negativa: qualche volta i fatti mi smentiscono). Ho letto del disastro economico degli agrumi, soprattutto nel Catanese, e pensato alla legge d’iniziativa popolare presentata il 29 marzo, in Corte di Cassazione. Nasce da una mia idea, subito accolta dall’allora sindaco di Catania, nella sua qualità di presidente dell’Associazione Nazionale Comuni d’Italia. Fossero state offerte, le arance, col loro nome e cognome — le Tarocche. Sanguigne, Sanguinelle, Ovali, Bionde e (rarissime per fragile delicatezza) Bianche dolci e Bionde di spina di Paternò, Catania; le Sanguinelle Moscato di Santa Maria di Licodìa, Catania; le More di Scorsia, Catania — non le 100 (cento) lire proposte, avrebbero avuto pregio e acquirente. Con le de-co, denominazioni comunali, io già scommetto, quest’estate, sul successo delle Pesche Tabacchere di Catania. Coltivate su 10 ettari del territorio comunale — grazie al sciur Sindec — hanno profumo, deliquescenza e sapidità della polpa, di gran lunga superiori e terragni. Certo che le riconosci: differiscono dalle Pesche comuni, dalle Percoche, dalle Nettarine e dalle Sangiovanni, perché i frutti sono appiattiti e con l’apice incavato. Con la de-co, le Pesche Tabacchere di Catania, presentate dalla Città e da una stampa attenta, saranno contese dai mercati, non solo italiani”.


 

Impresa Agricola Spitaleri Arnaldo
C.da Castello di Solicchiata
95031 Adrano (Ct)
http://feudispitaleri.com/

Scritto da